L'esperienza dell'associazione Mettiamoci in gioco comincia con una bambina di undici anni che condivide merendine con altri coetanei diversamente abili. È la figlia di Daniela e Tino che, dopo averlo scoperto, hanno deciso di prendere esempio dalla undicenne. E ormai il loro lavoro va avanti da dieci anni
S. A. Li Battiati, il volontariato parte dalle brioche Trentacinque ragazzi e una casa per i loro talenti
C’era una volta una bambina di undici anni che portava delle brioche a un gruppo di ragazzi con diversi handicap. Non è l’inizio di una favola, ma la molla che ha spinto Daniela e Tino a cominciare una nuova avventura con Mettiamoci in gioco, un’associazione di volontariato con sede a Sant’Agata Li Battiati che si dedica ad attività di inclusione sociale per giovani diversamente abili. A partire dall’esperienza della figlia undicenne dei due: «Lei usciva di casa portando a scuola con sé sei, otto merendine – ricorda Tino – Eravamo preoccupati perché credevamo le mangiasse tutte lei, che proprio magra non era, invece poi abbiamo scoperto che cosa bella faceva. L’insegnante tuttavia ci ha mandato una convocazione a casa dicendo che nostra figlia faceva troppa caciara a ricreazione e, mesi dopo, la bambina è stata bocciata».
Ma la decisione dell’insegnante ha smosso una montagna. L’organizzazione è attiva dal 2006, ma dal 2014 – grazie a un locale concesso in comodato d’uso dal Comune – ha sede in quella che è stata chiamata La casa degli originali talenti. Il grande giardino che circonda l’edificio è l’emblema del sudore e del sacrificio, un work in progress costante per tarare l’ambiente alle esigenze dei 35 ragazzi che frequentano Mettiamoci in gioco. «Se dai un euro a un’associazione di volontariato è come se tu ne stessi investendo dieci», afferma Tino.
Nell’orto i ragazzi imparano a diventare agricoltori, nel giardino degli odori possono cimentarsi nel riconoscere i profumi della loro terra, il capanno è costruito con le assi di un palco servito per uno spettacolo. Gli «originali talenti» che danno il nome allo spazio dell’associazione sono quelli che i ragazzi sviluppano. Lavorano le ceramiche, bene, con una padronanza tale da far sentire in imbarazzo le cosiddette «persone normali». Poi ci sono il ballo, il teatro, la musica, il riciclo, laboratori tesi a valorizzare le aspirazioni di ogni singolo giovane.
Uno di loro, Andrea, mostra un cellulare vecchio modello, di quelli che si usavano tanti anni fa, il suo più grande tesoro. Lo espone fiero. Entrare negli spazi in cui loro passano il tempo «è un privilegio», conferma Tino. Tutti devono rigorosamente presentarsi e giustificare la loro presenza. I ragazzi si sentono una vera e propria comunità, hanno un grande senso di appartenenza, una famiglia allargata in cui nessuno può entrare senza chiedere il permesso. Una ragazza elabora calcoli come se fosse un computer, sa esattamente in che giorno cadeva il Natale di due anni prima, non sbaglia un colpo.
Ci sono coppie già formate, corteggiamenti continui e gelosie. Il karaoke mette d’accordo tutti. Con il microfono in mano chi ha difficoltà a parlare si scioglie, canta benissimo e sembra non voler smettere mai. I 14 volontari che compongono Mettiamoci in gioco si alternano in diversi giorni e gruppi, in modo da soddisfare le più disparate esigenze di persone di età compresa tra i 13 e i quarant’anni. All’ora della merenda stanno tutti seduti a un tavolo, con due torte davanti e tanta allegria per festeggiare il compleanno di Daniela. Le ore volano ma due cose colpiscono in particolare: la pazienza e il sorriso dei volontari, che riescono a risolvere qualsiasi intoppo in breve tempo. Alla fine, quando è ora di andarsene una ragazza paraplegica esprime a tutti la soddisfazione per la sua coltivazione di pomodori in giardino. Cresceranno, come tutti, meglio di tutti.