Tra i professori della Facoltà sembra prevalere la cautela. Secondo Angelo Vanella «non cerano i presupposti per chiudere ledificio 2». La professoressa Maria Luisa Barcellona sostiene che è ancora «da verificarsi leffettivo tasso di inquinamento». Ma aggiunge: «la responsabilità morale dobbiamo assumercerla tutti, anche chi è estraneo ai fatti»
Farmacia: parlano due docenti
Cautela sulle indagini, sia per quanto riguarda il disastro ambientale sia per quanto riguarda le ipotesi di omicidio presso la facoltà di Farmacia dell’Università di Catania. Qualche dubbio sull’attuale pericolosità dell’edificio 2 della Cittadella, e dunque sulla sua chiusura. Ma anche qualche nota di dissenso verso il modo in cui gli organi di governo dell’ateneo e della facoltà stanno trattando il caso di Farmacia, e un invito ad assumersi la responsabilità morale di quanto sta avvenendo. Sono queste le reazioni che Step1 ha raccolto andando a sentire le voci di due docenti della facoltà: la professoressa Maria Luisa Barcellona, ordinaria di Biochimica Applicata al dipartimento di Chimica Biologica e presidentessa del corso di laurea specialistica in “Chimica e Tecnologia Farmaceutiche”, e il professore Angelo Vanella, ordinario di Biochimica ed ex Preside della facoltà di Farmacia.
“Per quanto attiene il sottosuolo dell’edificio 2 non spetta a noi dei laboratori ai piani superiori fare determinate annotazioni. Chiedevamo ai colleghi che lavoravano lì e sembrava tutto a posto”, esordisce la professoressa Barcellona. L’edificio, infatti, era suddiviso in quattro dipartimenti: al piano terra e nel seminterrato si trovavano gli studi e i laboratori di Scienze Farmaceutiche, il dipartimento incriminato; il primo piano era interamente dedicato a scienze fisiologiche; il secondo a biochimica e il terzo infine parte a farmacologia, parte a biochimica. Per quanto riguarda i rifiuti di laboratorio, centro della prima indagine della Procura, se ne distinguono tre tipi: tossici-nocivi, speciali (come carcasse o sangue) e radioattivi. “Lo smaltimento è differenziato” – spiega la Barcellona – “e di ogni tipologia di rifiuti si occupa una ditta specializzata”. Ogni quanto tempo vengano smaltiti questi rifiuti sembra essere lasciato alla discrezione dello sperimentatore. Nel frattempo le sostanze vengono raccolte in appositi bidoni e convogliate all’interno di un casotto esterno in cemento armato. La professoressa appare fiduciosa sulle indagini che “serviranno a fare finalmente chiarezza”, ma mantiene un punto di vista prettamente scientifico sui risvolti della vicenda. “Ammesso che il terreno sottostante riveli tracce di metalli pesanti e altre sostanze, così come i primi accertamenti hanno constatato, è da verificarsi l’effettivo tasso di inquinamento”, asserisce.
Non molto diversa la posizione del professore Angelo Vanella che, tuttavia, critica lo svolgimento delle indagini portate avanti fino ad ora dalla Procura di Catania. “Non c’erano i presupposti per chiudere uno stabile in cui operano circa 250 persone”, dichiara infatti l’ex Preside. “Lo stesso GIP, nel motivare la chiusura dell’edificio, parla di “esami esigui” effettuati nei mesi precedenti”, esami che, secondo Vanella, sarebbero anche non significativi.
“Non è stato fatto il cosiddetto ‘carotaggio’, ossia dei rilevamenti dell’aria al di sopra del suolo supposto contaminato, né è stato eseguito un rapporto di normalità sui dati ottenuti in precedenza”, spiega il professore. Secondo Vanella, potrebbe anche trattarsi di un sito potenzialemente inquinato, ma non è detto che vi sia un alto rischio ambientale per la scarsa volatilità delle sostanze impiegate, così come, prosegue, “i residui di laboratorio potrebbero risalire a molti anni addietro”. Trattasi infatti di un edificio costruito nel 1960, periodo in cui le norme di sicurezza previste per i laboratori e gli scarichi di questi non erano certamente quelle di oggi. “Il depuratore che si trova accanto a Chimica nel ’67 non esisteva; è stato costruito solo 25 anni fa. Tra il 2000 e il 2006 il numero di studenti, dottorandi e docenti è notevolmente aumentato così che il sistema di aereazione dei laboratori è stato dichiarato sottodimensionato”, racconta il professore. Così si spiega il rinnovamento del sistema di areazione avvenuto solo nel 2007.
Ma adesso non si indaga più soltanto sul rischio ambientale e la gestione dei rifiuti, si tratta di accertare delle responsabilità su alcune morti e malattie di dipendenti e studenti dell’edificio 2. Il professore Vanella offre una spiegazione a supporto del fatto che non è facile accertare un reale pericolo per la salute. “Ogni individuo – spiega – ha una propria predisposizione genetica ad una più o meno grave patologia”. Il polimorfismo genetico, secondo il docente, potrebbe essere la risposta a molte delle manifestazioni, il più delle volte allergie temporanee, che hanno interessato le persone che lavoravano all’interno dei laboratori.
Anche la professoressa Barcellona resta cauta nel collegare le morti e le malattie alle condizioni di lavoro, ma riafferma con forza il suo “disappunto per la leggerezza e la superficialità con cui viene trattata la questione dagli organi di governo dell’ateneo e della facoltà”. Sostiene che questo silenzio renda confusi persino i professori, ma anche che “è una responsabilità morale che dobbiamo assumerci tutti, anche chi è estraneo ai fatti”. “Ignoranza colpevole” aveva definito in un’altra occasione quella che molti commentatori esterni temono sia omertà.
E all’insegna del “resta ancora tutto da verificare”, è di questi giorni l’appello della Procura di Catania affinché gli interessati si rechino presso gli organi competenti “senza la necessità di mediazioni o interferenze di soggetti non istituzionali allo scopo di evitare dannose strumentalizzazioni che potrebbero solo nuocere al corretto sviluppo delle indagini”. La Procura sembra quindi non gradire la caccia alla testimonianza che si sta consumando in queste settimane su tv e giornali.