Il procuratore di Messina Guido Lo Forte l'ha definita «una delle organizzazioni criminali più antiche e pericolose». Una mafia arcaica e al tempo stesso moderna, col fiuto per gli affari. Che sarebbe guidata dal capo del clan di Cesarò. Attorno a lui ruoterebbero le imprese colpite da interdittive antimafia
A chi sono stati tolti i terreni dei Nebrodi Rete di società, al vertice il mafioso Pruiti
«Una delle organizzazioni criminali più antiche e pericolose». Che cos’è la mafia dei Nebrodi lo ha ricordato ieri il procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte. Arcaica e moderna. Braccia e gambe per controllare in maniera pervasiva il mondo rurale, occhi e testa alle opportunità che arrivano da Bruxelles, sotto forma di finanziamenti europei. Ma chi c’è dietro quella che gli investigatori hanno descritto come una presenza capillare sul territorio di una consorteria criminale che applica con estrema violenza un metodo mafioso? A tirare le fila sarebbe Giuseppe Pruiti, condannato all’egastolo per associazione mafiosa e omicidio. È considerato il capo del clan di Cesarò, nonché uno dei leader del cosiddetto gruppo dei Brontesi. Il fratello, Giovanni Pruiti, è ritenuto il reggente. Ed è proprio attorno a loro che ruoterebbero le imprese a cui è stato revocato l’affitto di oltre quattromila ettari del parco dei Nebrodi, perché colpite da interdittive antimafia.
Sulla base del protocollo di legalità siglato dalla prefettura di Messina, l’ente parco, i Comuni che ne fanno parte e la Regione, l’azienda Silvo pastorale del Comune di Troina ha rescisso i contratti. Per questo il sindaco Fabio Venezia vive sotto scorta dal dicembre del 2014. Le imprese colpite da interdittiva sono in larga parte riconducibili proprio a diretti familiari di Giuseppe Pruiti. A cominciare dalla sorella e dalla compagna. La prima ha presentato istanza insieme a un altro socio, che a sua volta vanterebbe parentele pericolose in quanto fratello di Giuseppe Foti Bellingambi, indagato per l’omicidio di Giuseppe Conti Taguali e ritenuto, insieme a Pruiti, tra i capi del gruppo dei Brontesi.
Due cognomi, Pruiti e Foti Bellingambi, che ritornano in molte istanze di affitto dei terreni. Hanno infatti chiesto, e in passato ottenuto, l’assegnazione dei pascoli il figlio e la moglie del Bellingambi socio di Federica Pruiti. Ed è ancora una donna a firmare un’altra istanza: è la moglie di Carmelo Giacucco Triscari, che ha precedenti per omicidio ed è cognato di Giuseppe Pruiti. Una rete di imprese individuali e di associazioni temporanee nate proprio con lo scopo di accaparrarsi i pascoli, che sembra avere come vertice sempre il pluripregiudicato all’ergastolo.
Altri richiedenti, senza legami parentali con Pruiti, avrebbero però con lui e la sua famiglia delle frequentazioni costanti. Senza considerare il lungo elenco di reati minori per cui sono indagati o sono stati denunciati in passato altri soggetti firmatari delle istanze di affitto su cui pendono le interdittive antimafia: si va dal pascolo abusivo alla tentata truffa, dal riciclaggio al danneggiamento e al furto.
Un controllo capillare che, secondo gli investigatori, ha creato in quei territori un clima di terrore, fatto di violenza e omertà, come dimostra la mancanza di denunce da parte degli agricoltori e dei piccoli proprietari vessati. Moltissimi gli episodi accertati di furti di bestiame che vengono spesso restituiti dietro somme di denaro e di incendi di campi abbandonati. Un contesto dove prolifera il mercato nero dei braccianti. E in cui si collocherebbero anche le attività illecite nel mercato della macellazione della carne, come denunciato ieri dal presidente della Regione Rosario Crocetta che ha annunciato l’avvio di controlli da parte di una speciale commissione d’indagine.
Il tutto finalizzato ad accaparrarsi i finanziamenti europei. Solo dal 2012 è obbligatorio il titolo di proprietà o il formale contratto di affitto dei terreni, cosa che ha dato il via a una ricerca di terreni liberi: la via più veloce è stato il Sian, il sistema informativo agricolo nazionale, da cui si può verificare quali particelle catastali siano già state registrate ai fini della riscossione di finanziamenti pubblici. Secondo gli investigatori, quelle libere sarebbero state usate da soggetti vicini ai clan, spesso all’insaputa dei legittimi proprietari.