Dieci docenti nati tra il 1933 e il 1934, associati del '46 e ricercatori di 55 anni. Quanto è vecchio il nostro Ateneo in confronto alla nonna di tutta Europa, l'università italiana?
Il vecchietto dove lo metto?
Salvatore Settis lo ha scritto sul quotidiano “Il Sole 24 ore” di ieri: «L’incesto è tabù in (quasi) tutte le cultura umane, ma anche forme più tenui di endogamia sono scoraggiate dalle società complesse. La Chiesa prevede “dispensa” per il matrimonio fra parenti stretti, giustificata dall’angustia loci, la ristrettezza del villaggio. Nel villaggio (non proprio globale) dell’università italiana, il meccanismo concorsuale ha somministrato la dispensa urbi et orbi, incoraggiando l’endogamia e rendendo obbligatorio il successo del candidato locale. Anche se mancano statistiche ufficiali, non si va lontano dal vero se si suppone che queste facili vittorie vanno oltre il 90% dei casi. Situazione senza paralleli nei Paesi con cui l’Italia dovrebbe compararsi, rivelatrice di un chiudersi in se stesso dell’università italiana: insomma, di un angustia loci intollerabilmente provinciale. Anche quella sorta di incesto accademico che talora accade (mariti, mogli, figli, generi e nuore che insegnano la stessa disciplina nello stesso dipartimento), scandalo estremo che si presta a speciali attenzioni mediatiche, si spiega solo, come ulteriore degenerazione di un costume localistico ormai scontato».
Insomma, secondo l’illustre direttore della Normale di Pisa: «Il nostro sistema privilegia l’anzianità nelle liste d’attesa a svantaggio del merito dei candidati». Anche il notiziario statistico del Miur lo conferma: «Il corpo docente delle università italiane risulta più anziano dei colleghi europei: oltre la metà ha più di 50 anni di età, diversamente da quanto accade nel resto d’Europa in cui, in media, tale quota è pari al 34,6% del totale».
Che il sistema universitario italiano non fosse tra i più giovani nell’odierno panorama dell’istruzione superiore l’avevamo intuito da qualche tempo girando per i corridoi, assiepando aule e laboratori.
E se provassimo a focalizzare l’obiettivo sul Siculorum Gymnasium?
Nel 2007 (anno degli ultimi dati disponibili) la palma di docenti ordinari più anziani dell’Ateneo catanese se la dividevano in cinque, tutti uomini nati nel 1933. Sono altrettanti quelli nati un anno dopo, mentre bisogna andare avanti fino al 1973 per vedere i natali del prof. di prima fascia più giovane, docente della facoltà di Scienze politiche.
A livello nazionale, il professore più anziano è nato nel 1929 e insegna Medicina alla Sapienza di Roma. La schiera più folta è composta dai 1105 che spengono quest’anno 61 candeline: identica proporzione a Catania, con il maggior numero di ordinari (trentadue) nati nel 1947.
Il dato sui professori associati è più squilibrato: nelle università italiane il gruppo più numeroso è quello della classe 1962 (769 secondo i rilevamenti del Ministero) mentre a Catania sono di più i nati nel ’46 e nel ’48 (rispettivamente 26 e 25). Gli associati più anziani (a Medicina e Scienze) hanno 71 anni, mentre il più giovane ne ha 32 e insegna a Farmacia.
Nota dolente è quella dei ricercatori, la cosiddetta “terza fascia” della docenza: i più giovani dell’Ateneo catanese sono appena tre, due donne (Economia) e un uomo (Scienze della formazione), tutti e tre sono nati nel 1978; mentre la palma di decano andava ad un pensionando che ha visto i natali nel 1940 (si sa che Scienze della Terra è materia di lunghissima durata…).
Il gruppo più nutrito di ricercatori catanesi ha 55 anni (sono 33 i nati nel 1953), mentre nel resto d’Italia l’età media fortunatamente si abbassa. A livello nazionale si contano 1098 ricercatori nati nell’anno della grande contestazione, il tanto acclamato e vituperato ’68. Quando si dice il risveglio dei geni…
Un Ateneo abbastanza anziano, insomma, anche rispetto alle poco lusinghiere statistiche nazionali. Anche quando si incontra un caso “anomalo” – ossia un viso troppo giovane in questo mondo geriatrico – sembra quasi normale l’insinuarsi del dubbio di una carriera “agevolata”. Sarà il caso di tagliare i rami verdi o quelli già in via di atrofizzazione? O – meglio ancora – non sarebbe più giusto compiere scelte decise per aprire le porte ai precari e rinnovare finalmente questo ateneo giurassico?