Il cantautore ha realizzato un video per rispondere alle critiche del professore di Unict Rosario Mangiameli, che aveva definito «falsa e stupida» l'interpretazione del periodo pre-Unità d'Italia che emerge dal brano
La canzone Al Sud, Povia replica su Facebook «Io in difesa della verità storica del Meridione»
«Una canzone in difesa della verità storica del Meridione impoverito e indebolito dall’inganno dell’Unità d’Italia che ha costretto milioni di persone a emigrare». Giuseppe Povia la definisce così la sua Al Sud, brano recentemente pubblicato che descrive il periodo pre-unificazione, esaltandone il benessere economico e sociale. Un’interpretazione che non ha trovato d’accordo il professore di Storia contemporanea dell’università di Catania, Rosario Mangiameli, che, sollecitato da MeridioNews a offrire un chiarimento sui contenuti del testo, ha definito la canzone «falsa e stupida».
Dopo quell’articolo Povia ha realizzato un video di risposta, postandolo sulla sua pagina Facebook, rispondendo al docente etneo sulla base di un lungo elenco di citazioni, in particolare facendo affidamento alle tesi di Gennaro De Crescenzo, professore di italiano e storia alle scuole superiori, specializzato in archivistica, fondatore e presidente dell’Associazione culturale Neoborbonica, che esalta i Borbone perché «con loro, per l’ultima volta, i Meridionali sono stati un popolo amato, rispettato e temuto in tutto il mondo».
Sulla base dei testi di De Crescenzo e «di altri storici», Povia contesta «le storielle finanziate con denaro pubblico della leggenda dei Mille di Garibaldi», afferma che «nelle industrie del Meridione erano impiegate 1,6 milioni di persone, nella sola manifattura il 22 per cento della popolazione del Sud», che «il reddito e il pil erano di livello pari e superiore alle altre regioni italiane», e che «le condizioni finanziarie complessive erano come quelle della Germania di oggi», e in quest’ultimo caso cita Stephanie Collet, storica della Finanza dell’università di Bruxelles.
Mangiameli sottolineava come la situazione sociale non fosse affatto serena, a differenza di quanto recita la canzone («la gente si amava»). E, a riprova di questo, citava i frequenti moti d’insurrezione – 1821, 1837, 1848, 1860 -, che Povia invece definisce «settari, massonici e spinti da interessi stranieri, inglesi in testa». Infine il cantautore ricorda «le centinaia di migliaia di vittime del brigantaggio», rispondendo al professore che, limitandosi soltanto della guerra di riunificazione, aveva parlato di «episodi crudeli come in ogni guerra».