Vigilantes, a Catania numero anomalo di ditte «Prima licenziano e poi avviano nuove aziende»

Un settore schiacciato da tariffe insostenibili, ritardi nei pagamenti e appalti che si riducono sempre più. E in questo scenario, i proprietari cercano il profitto con pratiche «che non sembrano regolari». È il mondo della vigilanza privata, sul quale la Fisascat Cisl etnea pone degli interrogativi. «Chiediamo l’intervento della prefettura e della questura, ma anche della procura», dice Paolo Spagnolo. «Come può succedere che ci siano società che mettono in mobilità il personale, per poi riassumerlo in altre aziende riconducibili alla stessa proprietà?», chiede il sindacalista. «Viene fatto solo per attingere agli sgravi fiscali, ma a rimetterci sono i lavoratori che perdono l’anzianità e vengono ingaggiati a prezzi ancora minori». 

Gli iter per ottenere le autorizzazioni sono rigidi, passano dalle decisioni del prefetto e dal parere vincolante della polizia amministrativa. A Catania e provincia «le aziende che operano sono circa una ventina», descrive Spagnolo. Ma basta consultare i motori di ricerca per trovare molti più nomi in elenco, con società che condividono denominazioni simili e anche le sedi. «Da tempo notiamo questo svuotamento e riempimento delle aziende per motivi fiscali – prosegue il sindacalista – Tutto questo serve per entrare nel mercato con tariffe basse». I sindacati monitorano diverse gare, dove le aziende «senza scrupoli, si aggiudicano appalti con prezzi scandalosi». Mediamente lo stipendio di un dipendente si aggira intorno ai 1200 euro mensili. A questo costo vanno aggiunte le spese contributive, oltre ai costi di trasporto e la normale gestione dell’azienda. «Ci sono gare aggiudicate con costi di tredici euro all’ora, sono tariffe molto basse», sostiene il rappresentante sindacale. «A Catania non ci sono imprenditori che fanno beneficenza – sottolinea con ironia – è impossibile che non abbiano dei guadagni». A rimetterci sono quindi i lavoratori, «che vengono pagati con ritardi di tre, quattro mesi», precisa. 

«Siamo quasi all’ossigeno – analizza il sindacalista – esistono delle regole che non vengono rispettate. Per questo stiamo sollecitando un intervento». Perché se fino a poco tempo fa a soffrire la crisi erano le realtà minori, adesso «anche i nomi più noti stanno facendo di tutto per adeguarsi a questo mercato», denuncia Spagnolo. «I responsabili degli appalti pubblici, per la spending review, cercano di stringere sul numero di impiegati e sul costo». E così se prima si prevedevano 20 guardie, «oggi si riducono a 18». Quindi la prospettiva di aperture di bandi nell’hinterland – come a Belpasso, dove il Comune riattiverà dei contratti per garantire maggiore sicurezza ai commercianti – non fa ben sperare. I privati, dal canto loro, anziché la vigilanza armata in istituti bancari o nei centri commerciali ripiegano sul personale non armato. «Hanno anche loro le divise, dall’esterno sembrano delle guardie giurate a tutti gli effetti, ma non hanno armi e quindi costano di meno».  

Ad aggravare ulteriormente il quadro, c’è la possibilità – dopo alcune modifiche al decreto Maroni del 2010 – per le aziende di concorrere ad appalti non solo nelle province di appartenenza, ma anche in altre aree della Sicilia.  «Si può chiedere alla prefetture di operare su altre province, dopo 70 giorni si ottiene o meno la conferma. La concorrenza aumenta, pur sapendo che la fetta di mercato è quella». 


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