Urban Farm, il modello Favara si espande in Sicilia «Senza colonizzare, ogni territorio ha sua soluzione»

Andrea Bartoli, l’ideatore della Farm, anche quando è fermo dà l’idea di essere in movimento. Se non fosse per qualche termine dialettale qua e là, non sembrerebbe neanche siciliano. Lo incontriamo in un caldo pomeriggio di febbraio. Progetti futuri, innanzitutto, a partire dallo Urban Farm, ovvero il tentativo di esportare il modello Favara – fatto di un centro culturale innovativo e fondato sull’arte contemporanea – in giro per la Sicilia, l’Italia e l’Europa. «Il progetto nasce alcuni anni fa, con la missione di internazionalizzare Farm. Poi però, congelata l’idea, abbiamo deciso di fare il contrario. Che senso aveva parlare di Farm Cultural Park in prospettiva europea se poi a Naro, Sommatino, Caltanissetta non sapevano cos’era?». 

Così è partita la call, come la chiamano qui mutuando il linguaggio delle start-up. Si sonda cioè il terreno a livello locale, coinvolgendo associazioni, gruppi e singoli artisti. In questo momento lo Urban Farm è in fase di completamento a livello regionale, giorno 14 ci saranno gli ultimi appuntamenti con Ragusa e Messina. Hanno risposto pressochè tutte le province. «L’obiettivo è raccontare Farm ai territori e allo stesso stesso tempo scoprire quello che accade lì. Abbiamo capito che ci sono tantissime risorse latenti in Sicilia, persone in gamba che non vedono l’ora di far qualcosa per la propria città». Referenti locali e coordinatori provinciali si rivolgono soprattutto a loro. Come sta facendo a Gela Elisa Andretti, architetta e designer che dopo esperienze pluriennali a Malta e in Finlandia, ha deciso di tornare nella propria isola. «È tutto all’insegna della massima apertura – dice Elisa – Siamo alla ricerca del massimo impatto col minimo impiego di risorse. Non necessariamente qualcosa di politico, in maniera molto indipendente». 

Bartoli si conferma, più che un «notaio pazzo» (come lo ha definito con ammirazione il Sole24ore), il notaio con l’attività meno notarile del mondo. «A Favara come altrove non ci interessa diventare una galleria all’aperto o il posto più fico della terra, ci interessa che davvero con arte e cultura si possano cambiare le cose». Non si replicherà però quella che è stata l’esperienza agrigentina. «Non è un processo di colonizzazione, lo scopo invece è consentire ad altri territori soluzioni specifiche, ciascuno con la propria storia. Non avrebbe senso immaginare una Sicilia piena di Farm». E non è neanche detto che si perseguirà la strada dell’arte contemporanea. A Gela ad esempio la chiusura di un’era industriale è evidente. La necessità di reinventarsi passa da ciò che è stato ed è il territorio, senza dubbio. Mai come in questo momento però si deve saper guardare oltre. «Le idee dipendono dalle persone che partecipano alla call – conferma Elisa -. Da noi le persone più attive sono state quelli di Google Developer Group. Si sono avvicinati il tema della street art e quello della permacultura. Centrale è l’idea delle rigenerazione urbana». 

Non a caso il prossimo appuntamento Farm, previsto per il 20 febbraio, si intitola Thirsty, for public spaces. Assetati di spazi pubblici, per una giornata dedicata allo spazio pubblico. Alla maniera di Farm, ovvero con installazioni artistiche, esibizioni, cibo e musica. Il 21 invece ci si sposta a Caltanissetta. Verrà presentato alla cittadinanza il progetto vincitore del concorso di idee Boom – Polmoni Urbani, promosso e finanziato dal Movimento 5 stelle Sicilia, per la riqualificazione e valorizzazione urbana. Una vecchia pista di pattinaggio, di oltre tremila metri quadrati e abbandonata da 15 anni, «diventerà – come si legge nell’evento Facebook – una piattaforma pionieristica ricreativa, formativa e di aggregazione sociale». 


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