Il report pubblicato dalla Regione relativo al primo semestre del 2015 contiene diversi spunti di riflessione. A partire da un aumento del numero dei paganti. Calano le visite a Catania. E il direttore della fondazione Patrimonio Unesco, Aurelio Angelini, avverte: «Senza infrastrutture e digitale si può fare poco»
Beni culturali, meno visite ma incassi più alti Teatro greco e valle dei templi siti più ricercati
Aumentano gli incassi, diminuiscono – seppur di poco – le presenze. I dati sulla fruizione dei beni culturali in Sicilia divulgati dalla Regione, e riguardanti il primo semestre del 2015, descrivono una realtà dalle molteplici sfaccettature in un contesto generale che comunque rimane deficitario. Almeno rispetto alle potenzialità del settore.
Da gennaio a giugno dello scorso anno, i 66 siti gestiti dalla Regione hanno registrato incassi per oltre 9 milioni di euro, con un aumento rispetto al primo semestre 2014 di quasi 2 milioni. Come detto, tale dato non è accompagnato da una crescita proporzionale del numero dei visitatori. Anzi, questi ultimi, sono stati circa 16mila in meno, con una flessione dello 0,83 per cento. La discrepanza tra i due valori è data dall’aumento del numero dei paganti, a fronte di una diminuzione degli ingressi gratuiti, che negli anni passati erano il frutto di una tendenza allo sbigliettamento facile che aveva contraddistinto la gestione di molti siti.
A crescere sia in termini di guadagni che di paganti sono invece i dieci siti più ricercati dal pubblico. Al primo posto c’è il teatro greco di Taormina con quasi 244mila visitatori e un fatturato, da gennaio a giugno dello scorso anno, di oltre 1 milione 900mila euro. Nello stesso periodo la valle dei templi di Agrigento ha avuto incassi simili (1 milione 826mila euro), con un numero complessivo di biglietti venduti che ha superato abbondantemente quota 180mila. Al terzo posto tra i siti più visitati c’è l’area archeologica Neapolis di Siracusa con 164mila presenze e un incasso di 1 milione 615mila euro. Completano la top ten l’area archeologica Villa del casale di Enna, Segesta e Selinunte in provincia di Trapani, il duomo di Monreale, San Giovanni Eremiti e il castello Zisa a Palermo, e il museo Orsi a Siracusa.
Dietro queste attrazioni ci sono altri siti – alcuni famosi, altri conosciuti soltanto agli abitanti del posto – che hanno registrato risultati altalenanti. A livello provinciale, a crescere in termini di incassi sono stati i siti di Agrigento, Enna, Messina, Palermo, Ragusa, Siracusa e Trapani, mentre si sono ridotte le entrate in provincia di Catania e Caltanissetta. Nella provincia etnea, in particolare, il calo ha riguardato anche il numero di visitatori – sia paganti che non – con oltre 10mila presenze in meno rispetto al primo semestre 2014. Nel report pubblicato dalla Regione, si trovano poi casi in cui il bene culturale sembra pressoché sconosciuto al pubblico o comunque poco considerato: come ad Aci Catena, dove l’area archeologica di Santa Venera al Pozzo, nel 2015 è rimasta chiusa complici anche alcuni scavi in atto, perdendo rispetto all’anno precedente i 838 visitatori che avevano ammirato i resti delle terme romane. Tra di essi, soltanto 123 erano stati i paganti, che avevano garantito – si fa per dire – un incasso di 176 euro.
A commentare i risultati è Aurelio Angelini, direttore in Sicilia della fondazione Patrimonio Unesco: «Ci sono segnali di un risveglio che sarebbe sbagliato trascurare – dichiara -. Tuttavia questi dati vanno inquadrati in un contesto più ampio che vede il turismo locale, sia regionale che nazionale, in flessione negli ultimi cinque anni a causa della crisi. A differenza – continua Angelini – di quello internazionale che invece ha retto». In tal senso, per interpretare i dati dei singoli siti non si può fare a meno di considerare il loro posizionamento geografico: «In uno scenario del genere è inevitabile che i luoghi più facilmente raggiungibili, e soprattutto quelli che si trovano nelle vicinanze delle città più visitate – sottolinea Angelini – siano stati quelli che hanno avuto più successo».
Tuttavia, la sensazione è che di strada da fare ce ne sia ancora tanta: «La Sicilia ha nel turismo soltanto un decimo del suo pil – commenta il direttore di Patrimonio Unesco -. A differenza di quanto accade nelle isole minori di Spagna e Grecia, dove questo dato sale fino al trenta per cento. Di cosa c’è bisogno? Sicuramente di infrastrutture, sia materiali come le strade e le ferrovie che immateriali come la digitalizzazione dell’offerta». Nell’Isola, infatti, quello di rete è tutt’ora un concetto astratto: «Difficilmente si potrà crescere fino a quando sarà impossibile per un turista poter conoscere l’offerta culturale e prenotare le visite direttamente da casa – prosegue Angelini -. Parliamo di cose che nel 2016 in molti paesi sono considerate normali, mentre da noi rappresenterebbero una rivoluzione».
All’origine di questo ritardo anche le competenze di chi invece dovrebbe guidare il sistema: «Il problema più grande – conclude Angelini – è però quello delle risorse umane. In molti casi, all’interno della pubblica amministrazione mancano le competenze adatte. Fino a quando non ci sarà un ricambio della classe dirigente e del personale che lavora negli uffici sarà ostico immaginare un reale cambiamento».