Trivelle, le modifiche del governo scontentano tutti «Vogliono evitare battaglia su riforma costituzionale»

«Un cavallo di Troia nella legge di stabilità». Così vengono definiti dal coordinamento nazionale No Triv gli emendamenti presentati dal governo Renzi sulle trivellazioni, che ricalcherebbero «solo apparentemente i quesiti referendari». Un mezzo passo indietro che finisce per scontentare anche i petrolieri. Così Renzi viene contestato da entrambi i fronti, accusato di essere troppo morbido da una parte e di aver ceduto alle pressioni popolari dall’altra. Intanto, però, sono stati già bocciati i sub-emendamenti correttivi che il costituzionalista Enzo Di Salvatore, padre dei quesiti referendari, aveva presentato alla Camera dei deputati in commissione Bilancio. 

Nelle sue osservazioni, il cofondatore del coordinamento No Triv segnala come «gli emendamenti proposti dal governo soddisfino solo tre dei sei quesiti referendari». Inoltre «chi è titolare di una concessione alla data di entrata in vigore della legge di stabilità (non già dalla data del 26 agosto 2010, come prima) potrà estrarre senza limiti di tempo». Stesso discorso per «chi è titolare di un permesso di ricerca alla medesima data, che continuerà a esserlo senza scadenza alcuna». Il referendum invece propone di «vietare ogni procedimento in corso», a qualunque stato esso sia. 

Sulle trivellazioni e sullo Sblocca Italia si gioca davvero una partita importante, perché alle singole questioni si legano la strategia energetica nazionale e più in generale il futuro del paese. Ma qual è la priorità? La rincorsa ai combustibili fossili che costituiscono il presente (dubbio, tra l’altro, almeno stando ai dati di Greenpeace) o un deciso cambio di rotta, così come auspicato anche dall’assemblea Cop21 di Parigi tra i grandi della Terra e dal dibattito attorno al cambiamento climatico? Altri spunti di riflessione vengono da Salvatore Mauro, attivista No Triv della Valle del Belice: «È evidente che la strada è in salita – dichiara -. Il governo oggi fa un passo indietro per rilanciarsi tra un anno e mezzo, in vista di una battaglia molto più importante. Dietro queste proposte sulle trivellazioni, c’è il tentativo di mettere il bavaglio attorno al Titolo V della Costituzione». 

Ovvero la riforma costituzionale che a gennaio dovrebbe essere votata alla Camera. E che prevede, oltre la riforma del Senato, anche un sostanziale accentramento dei poteri da parte dello Stato e del governo. «In materia di energia, ad esempio, le Regioni verrebbero nuovamente esautorate dai propri poteri che le modifiche di qualche giorno fa provano a restituire loro – spiega Mauro -. Anche sui beni comuni le competenze tornerebbero a Roma. Il referendum sulle trivellazioni inaugurerebbe tutta una stagione referendaria (come quello sul Jobs Act) che inciderebbe poi sul voto confermativo della riforma costituzionale. La vera battaglia finale si gioca lì». 

In una Sicilia dove rimangono aperte molte questioni, dalle trivellazioni all’acqua pubblica alla gestione dei rifiuti, la modifica dell’articolo 117 della Costituzione, con lo Stato a delimitare la propria competenza esclusiva, rafforza il rischio commissariamento. Intanto il primo nodo da sciogliere è, appunto, il referendum No Triv. «A causa della spending review – conclude Mauro – e dei tempi tecnici per l’approvazione è probabile che il referendum coinciderebbe con le elezioni amministrative della primavera 2016. La possibilità dunque di raggiungere il quorum c’è tutta». Una valutazione che anche lo stesso premier deve aver tenuto in considerazione.


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Per i promotori del referendum e il coordinamento No Triv, le proposte dell'esecutivo ricalcherebbero solo metà dei quesiti referendari: «Chi sarà già in possesso di una concessione potrà estrarre senza limiti di tempo». Si tratterebbe di un passo indietro per non aprire il confronto sul futuro rapporto tra Roma e le Regioni

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