Celebrati all'ex Noviziato dei Crociferi i funerali laici del giovane cooperante ucciso, a gennaio, in un raid americano al confine tra Pakistan e Afghanistan. In sottofondo le canzoni di Vasco Rossi. «L'opinione pubblica sconosce i torti, le verità e le dinamiche di violenza che i governi avallano - scriveva nelle lettere inviate alla famiglia -. Esistono governi che andrebbero boicottati».
Palermo “abbraccia” Giovanni, sulla bara bandiera della pace Gli amici: «Vogliamo chiarezza, magistratura vada avanti»
«Ci auguriamo che la magistratura vada avanti». Vogliono «chiarezza» sulla sua morte gli amici di Giovanni Lo Porto, perché «non basta dire che è stato un errore». Davanti alla madre, Giusi Felice, devastata dal dolore e dal pianto, hanno sfilato al Noviziato dei Crociferi, dove stamani si sono celebrati i funerali laici del cooperante ucciso, a gennaio, in un raid americano al confine tra Pakistan e Afghanistan. Ognuno di loro ha ricordato Giancarlo, così come tutti lo chiamavano da quando era piccolo, con un aneddoto. Sulla bara la bandiera della pace e accanto la chitarra che amava suonare e la maglia di Vasco Rossi.
Le esequie sono scandite da una voce registrata che legge ad alta voce le missive che Giovanni Lo Porto spediva alla famiglia dai suoi viaggi. Attraverso queste lettere, ora gioiose, ora rammaricate, racconta un mondo straordinario fatto di differenze tra culture, di paesaggi e atmosfere, di cargo con i beni di prima necessità che lui era felice di distribuire ai bisognosi. Le letture vengono interrotte dalle canzoni di Vasco Rossi, e mentre Albachiara e Senza Parole risuonano nel silenzio, il proiettore lascia scorrere le fotografie di un giovane sereno, circondato da bambini sorridenti e con la chitarra tra le mani.
Nell’entusiasmo di sentirsi parte attiva nella cooperazione internazionale, nell’umiltà di sentirsi un piccolo uomo che faceva, comunque, quanto fosse in suo potere per sostenere altri esseri umani, Giovanni sapeva di andare incontro a dei rischi e cercava di far luce sulle verità taciute dai governi, alcuni dei quali, a parer suo, andrebbero boicottati. Racconta le storie di violenza che uomini continuano a perpetrare su altri uomini e si domandava il perché dell’indifferenza delle istituzioni, delle organizzazioni governative e non governative. «L’opinione pubblica sconosce i torti, le verità e le dinamiche di violenza che i governi avallano – scriveva – esistono governi che andrebbero boicottati». Aggiunse poi che per un anno non avrebbe comprato made in China. Era preoccupato per le sorti di questa civiltà, schiava di un sistema che va contro l’essere umano.
A turno alcuni amici prendono la parola, ricordando momenti trascorsi insieme e raccontando con la voce rotta l’incredulità per la silenziosa e indegna fine di un ragazzo che è stato abbandonato. «Non sapevano quanto tu fossi in ansia per la fretta di andare ad aiutare chi poi ti ha preso e tenuto per tre anni – dice. un’amica e cooperante – Ti hanno ammazzato per una missione di pace, anti terrorismo, che vogliono portare avanti bombardando. Questa non è lotta al terrorismo, è guerra. Adesso vogliamo chiarezza, te lo dobbiamo. Lo Stato e la magistratura devono andare avanti». «Era preoccupato per Palermo – racconta un’altra amica – Una sera non lo hanno fatto entrare in discoteca perché indossava il cappellino di una Ong. I buttafuori gli dissero che lì entravano solo persone “perbene”, lui tentò di spiegarsi, come sempre gestiva con pacifica calma anche i momenti in cui chiunque si sarebbe infuriato. Era amareggiato e mi disse: “Se soltanto i palermitani si svegliassero, sprecano energie per le cose più inutili”. La discoteca era il Goa, c’è tanto su cui interrogarsi».
Kirstin rappresentante della Ong tedesca per la quale Giancarlo lavorava in Pakistan, la Welt Hunger Hilfe, spiega che fino all’ultimo minuto, prima di ricevere la notizia della morte del ragazzo, tutti i 2000 colleghi e gli amici hanno sperato di riabbracciarlo. «Tre anni di speranza e di lavoro per ottenere la tua liberazione in un silenzio difficile da sopportare, non ti abbiamo mai abbandonato. Continueremo questo lavoro in tuo nome, come te crediamo in un mondo senza fame e senza povertà».
Interviene anche Leoluca Orlando, che ringrazia la famiglia Lo Porto per aver concesso alla città di salutare degnamente un eroe contemporaneo. «Condividiamo con i familiari il dolore e denunciamo un mondo chiuso dentro egoismi, che non riesce a vivere in pace – afferma -. Ricordiamo il filo che lega il Pakistan e Palermo, in questo momento di lutto cittadino le bandiere a mezz’asta sono dedicate a Giovanni, ma anche ai pakistani che da qui tornano alla loro terra in una bara. Quando i governi innescano meccanismi dannosi che creano vittime e poi non riescono a dare risposte chiare sono colpevoli due volte. Questo non è razzismo né terrorismo. Abbiamo costruito un mondo basato sul dio denaro e in cui le vite umane vengono mortificate». Domattina la famiglia e gli amici celebreranno funerali privati.