Il finanziamento ministeriale prevede tagli continui per gli atenei pubblici dell'isola che anche quest'anno riceveranno da uno a quattro milioni di euro in meno. Una situazione complessa, spiega il coordinatore delle strutture regionali Giacomo Pignataro, tra l'assenza di sostegno della Regione e classifiche contestate
Fondi università, in Sicilia 30% in meno in 7 anni Pignataro: «La quota premiale penalizza il Sud»
Università siciliane sotto fuoco incrociato. Da una parte l’assegnazione del Fondo di finanziamento ordinario ministeriale che vede ancora diminuzioni negli stanziamenti: da uno a quattro milioni di euro ciascuna. Dall’altra i risultati – contestati – delle classifiche sulle migliori università del Paese, quella de Il sole 24 ore prima, quella del Censis per Repubblica poi. A corredo, l’endemica assenza di una Regione che ha ridotto ulteriormente i capitoli per borse di specializzazione e consorzi.
Dal punto di vista economico, «c’è una parte del Ffo, la quota premiale, che penalizza il Sud», afferma Giacomo Pignataro, rettore dell’ateneo di Catania e a capo del Coordinamento degli atenei siciliani che comprende Palermo, Messina e la privata Kore di Enna. Tra il 2008 e il 2015 le università pubbliche dell’isola hanno subito un calo di circa il 30 per cento. Una tendenza che, al momento, è impossibile cambiare. Il fondo assegnato dal ministero dell’Istruzione, infatti, ha una doppia ripartizione: per il 75 per cento va su base storica, per il 25 per cento in relazione al costo standard per studente. Quota, quest’ultima, che viene calcolata anche attraverso un complesso sistema, la Vqr (Valutazione della qualità della ricerca). «L’ultimo dato utilizzato è quello dell’analisi 2004-2010. È una fotografia acquisita, non possiamo cambiarlo», precisa Pignataro. «Anche se avessimo assunto dieci premi Nobel, la nostra valutazione non sarebbe cambiata».
Quest’anno Messina otterrà 139 milioni di euro (erano 140 l’anno scorso, circa 144 nel 2013), Catania 158 (contro i 160 del 2014 e i 164 del 2013) e Palermo 192 milioni (rispetto ai 196 di un anno fa e i 201 milioni dell’anno precedente). Un calo che si inserisce nel contesto dell’anno di maggiore riduzione del Fondo a livello nazionale. Nonostante la clausola che ripara le università del Sud, evitando riduzioni superiori al due per cento rispetto agli anni precedenti, «le perdite sono consistenti – analizza il docente – Il Ffo è ampiamente insufficiente. In Italia si spendono cento euro procapite, mentre in Germania e in Francia la spesa è di 300 euro. È un altro campionato».
Ad aggravare ulteriormente la situazione concorre l’assenza di politiche regionali di sostegno all’istruzione universitaria. «Le università da anni non vengono finanziate dalla Regione». Da tempo gli atenei siciliani chiedono senza successo l’accesso al fondo sociale europeo per finanziare borse di specializzazione in Medicina e diritto allo studio. E, secondo il rettore, l’elemento più grave è la mancanza di un aiuto concreto agli studenti. Oltre alla diminuzione delle immatricolazioni, «c’è un alto tasso di ritiro di iscritti – denuncia – Dovuto magari a scoraggiamento, ma anche a problemi economici».
Altri valori che penalizzano il Meridione sono capitoli come l’attrattività, l’internalizzazione, l’occupazione a un anno dalla laurea. «Sono elementi che non dipendono dalla nostra volontà». Difficile per l’isola – tranne che per Messina, che conta sugli iscritti provenienti dalla Calabria – attrarre studenti da altre regioni. La mobilità verso l’estero «dipende dai fondi, non da noi», lamenta Giacomo Pignataro. E sul tasso occupazionale nota come «un laureato alla Bocconi si trova a Milano, in un contesto diverso. Anche se, guardando i dati sui cinque anni raccolti da Almalaurea, le differenze si riducono».
«Le classifiche, quando parliamo di una valutazione di un’attività multidimensionale, non sono affidabili. Se si è bravi nella didattica e meno nella ricerca, che posizione si raggiunge? Chi decide cosa ha maggiore peso?», chiede il rettore etneo. «Se guardiamo alla coerenza nel rapporto docenti-materie di base e caratterizzanti a Catania siamo tra le prime 15, la nostra posizione dovrebbe essere più elevata».
«L’idea della graduatoria unica non serve a nessuno – afferma – Servono parametri che aiutino a individuare i problemi». E il magnifico non nasconde le criticità di Unict. Su tutte le difficoltà nella didattica che vede Catania al secondo posto in classifica – questa solo numerica – per numero di fuoricorso e ripetenti. Due i punti da potenziare, secondo il rettore: il percorso delle matricole durante il primo anno di studi e l’orientamento dei diplomandi. «Siamo consapevoli del gap», assicura Giacomo Pignataro.