Presentato allauditorium dei Benedettini, martedì scorso, il nuovo libro dellinviata del Tg1 Tiziana Ferrario, Il vento di Kabul: piccole storie di un popolo che cerca la sua strada in una realtà fatta di violenza e morte
Afghanistan, un paese dimenticato
Per l’opinione pubblica italiana l’Afghanistan non è un paese, è una guerra. I telegiornali ne parlano solo quando qualche nostro connazionale viene rapito o ucciso. Dopodiché le immagini tornano in Italia, per mostrare il dolore dei parenti e il cordoglio dei nostri politici. Segue l’annoso dibattito: rimanere o non rimanere? La telecamere passano a inquadrare i vari esponenti, interventisti e non, ma il popolo afgano rimane nascosto sullo sfondo, oscurato dalle immagini dei nostri soldati che combattono per loro. Ma cosa pensa e come vive quella gente non è dato sapere. “Il vento di Kabul”, scritto da Tiziana Ferrario, ci offre una testimonianza diretta di ciò che sta accadendo in quel paese in cui non ci sono solo militari e Talebani, ma anche uomini e donne che cercano di vivere la propria vita nonostante le bombe.
“Portare la democrazia in un paese in pochi anni è un utopia” – ha spiegato la giornalista del Tg1 durante presentando il suo libro, martedì scorso, al Monastero dei Benedettini – “ma il popolo afgano lo desidera fortemente, come ha dimostrato la straordinaria affluenza per le elezioni del 2004 e del 2005. Le donne, per la maggior parte analfabete, mi spiegavano che andavano a votare per i loro figli, perché non vivano più in un mondo di guerra”.
“Kabul è una città in rapida trasformazione.” – racconta la Ferrario – “L’edilizia è alle stelle, ma lavora solo per gli stranieri: la maggior parte delle famiglie afgane convive in case di fango, senza acqua e con la luce che va e viene, con il prezzo della vita aumentato di cinque volte rispetto al 2001”.
Ma nonostante ciò, la missione militare rimane comunque fondamentale: “Per loro le truppe Onu sono importanti. Se ne dovranno andare, ma non subito. La mancanza dei soldati americani e dei loro alleati comporterebbe l’inizio di una nuova guerra civile, dove chi vincerà continuerà a comandare con la forza”.
La Ferrario conclude: “Gli Afgani vogliono controllare il proprio paese, ritrovare gli stimoli per restare, quella fiducia che avevano quando è finalmente caduta la dittatura dei Talebani”.