Siamo o finiamo? O la finiamo? Che fine abbiamo fatto? Sei un uomo fatto e finito. Che cosa hai concluso nella vita? É la fine del mondo. Finiscila! Happy end. Finito!
L’incompiuta fine
La fine ci ha sempre ossessionato, come specie, come uomini, indaghiamo sempre la fine, o i fini, i confini invalicabili, il limite non oltrepassabile. Un uomo poco capace è un inconcludente, per qualcuno la fine e l’inizio coincidono. Ma la fine è alla fine, viene per ultima, dopo tante cose, dopo l’infinito, dopo che si possa dire dopo. Nel frattempo aspettiamo pazienti che la fine di un evento prossimo finalmente si appalesi. Certe volte corriamo all’inseguimento del perseguimento di una conclusione. Nei temi delle elementari si doveva mettere la conclusione, che poi era la morale. La morte è la fine. La morte è l’unica certezza, la fine è l’unica certezza. Ma se siamo cristiani, o anche induisti, non crediamo che la morte sia la fine. La fine è più definitiva, appunto, e per essere tale, deve in qualche modo coinvolgere anche colui, o coloro, o il nulla che ha dato inizio a tutto l’ambaradam che deve infine essere concluso. Senza fine, recitava una vecchia canzone, e pare che il senso di quelle parole trascenda l’intenzione del loro autore.
La fine va sminuita una volte per tutte, o meglio dimenticata, o meglio ancora posticipata, riportata al suo posto, alla fine. Molti artisti sono rimasti folgorati dall’incompiutezza, la non conclusione li ha immortalati, resi eterni: la Pietà incompiuta di Michelangelo, più viva del non parlante Mosè, l’incompiuta di Schubert, la mancanza di linee dell’impressionismo, i frammenti dei filosofi, così indeterminati e così interpretabili in virtù di tale indeterminatezza, il Pasticciaccio di Gadda che come i veri Garlasco e Cogne rimane irrisolto. Non ultimi i film di grande successo tra coloro che pensano, senza conclusione: Lost in Translation, La stella che non c’è, Broken Flower. Chi ha potuto dire veramente fine?
Della fine non si sa niente. So quello che faccio, quello che sono. Hic et nunc. Dopo c’è l’infinito, quello che non ha fine. Perchè la fine non la conosciamo, è dopo, è ancora lontana dall’accadere.
Essere implica la coniugazione progressiva, come la intendono gli anglofoni, essere come sto, I’m going to. Non ha senso concludere perché