Dalle «storture» presenti già nel bando alle presunte anomalie durante le prove che non avrebbero garantito l'anonimato né l'assenza di eventuali brogli. È l'accusa di centinaia di partecipanti - tra cui molti siciliani - che hanno affidato un ricorso collettivo allo studio del capoluogo composto da giovani avvocati guidati dal legale Francesco Leone
Bufera sul concorso dell’Agenzia delle entrate La class action dei candidati parte da Palermo
«Questa storia ha dell’incredibile, perché stiamo parlando del concorso più importante quest’anno in Italia. Una lotteria con in palio 892 posti da funzionario a tempo indeterminato. che si svolge senza le più elementari misure di sicurezza. Si può oggettivamente imbrogliare e sarebbe ingenuo pensare che chi si gioca il posto della vita non ci provi». Così Francesco Leone, 35 anni, avvocato, sintetizza la bufera che si è scatenata attorno al concorso bandito dall’Agenzia delle entrate per quasi mille assunzioni – con graduatorie regionali – e a cui hanno partecipato circa 140mila persone con profili giuridici o economici. Tra cui anche centinaia di siciliani, già rassegnati a emigrare considerata l’assenza di posti banditi sull’isola. Di questi, un centinaio si sono già rivolti – tra gli altri – allo studio legale palermitano per un ricorso collettivo contro l’Agenzia. «Noi siamo specializzati in class action – spiega Leone – In Italia, saremo in tutto due o tre studi a fare questo tipo di ricorsi». Un gruppo di 13 giovani avvocati, dai 25 ai 35 anni, che ha già preparato e diffuso online un manuale gratuito di sopravvivenza al concorso dell’Agenzia delle entrate. Diventato anche un gruppo Facebook con quasi 1500 iscritti. «Perché bastava leggere il bando per capire come sarebbe andata», continua Leone.
Quelle che il legale definisce «storture» nella prima prova del concorso sarebbero cominciate a partire dalla stessa organizzazione. La prima fase, infatti, si svolge su più giorni e su più turni quotidiani, con test uguali nella tipologia, ma con domande diverse tra un turno e l’altro. «Ovviamente, per quanto ci si possa stare attenti, domande diverse avranno difficoltà diverse e questo incide sulla performance dei candidati», spiega Leone. Succede così che in un turno abbiano svolto una buona prova il 15,64 per cento degli aspiranti, mentre due giorni dopo la percentuale scende drasticamente al 5,18 per cento. «Non a caso la legge prevede che i concorsi si svolgano in un’unica giornata e al massimo in sedi decentrate», aggiunge l’avvocato. Ma non è tutto: stando al bando, a passare alla fase successiva è chi raggiunge il punteggio di almeno 24 punti e rientra in graduatoria in una posizione pari a cinque volte il numero dei posti banditi. Se ad esempio in una regione si cercano 30 figure, si dovrà rientrare in graduatoria tra i primi 150 candidati con almeno 24 punti. «Mentre il testo unico sui concorsi pubblici prevede come punteggio base 21 e il consiglio di Stato ha già confutato questo criterio di graduatoria perché era già stato utilizzato nel vecchio concorso della stessa Agenzia», sottolinea Leone.
A questo, secondo i ricorrenti, vanno aggiunte alcune presunte anomalie nello svolgimento stesso della prova. «All’ingresso non c’è stato alcun controllo per il possesso di congegni elettronici e con connessione a Internet, come smartphone o smartwatch – racconta Leone – Al banchetto della registrazione veniva chiesto se si aveva con sé il cellulare e, in caso di risposta affermativa, il telefono veniva chiuso in una busta e riconsegnato al proprietario». Un dettaglio non da poco considerato che le aule non sarebbero state schermate, permettendo quindi di connettersi a Internet e di navigare alla ricerca delle risposte. «E una sola domanda giusta o sbagliata fa fare uno sbalzo in classifica di 300-400 posti», aggiunge l’avvocato.
Una volta conclusa la prova, infine, basta aspettare al proprio banco il passaggio di un addetto al ritiro dei fogli. Niente dati anagrafici ben chiusi in una busta più piccola all’interno di quella più grande che contiene il test – per garantire l’anonimato – come si usa fare nei concorsi pubblici o agli esami di idoneità professionale. «Eppure una pubblica amministrazione deve garantire trasparenza», continua il legale. A cui è già stata anticipata una querela da parte dell’Agenzia delle entrate. «Minacciare un avvocato significa calpestare il diritto costituzionale dei cittadini a essere difesi – conclude Francesco Leone – Ma noi non arretriamo di un passo».