Calandra&Calandra, strimpellatori folk di sicilianità «Rendiamo visibile la Sicilia sotto gli occhi di tutti»

«La Sicilia è sotto gli occhi di tutti e noi non facciamo altro che renderne visibili i profumi, i colori, gli odori e la gestualità». Spiegano così la loro missione musicale i fratelli Giuseppe e Maurizio Calandra del duo folk Calandra&Calandra. Amano definirsi «strimpellatori della tradizione fin da bambini» e non hanno perso il gusto di raccontare con sonorità moderne i miti della cultura siciliana. Nemmeno adesso che di anni ne hanno rispettivamente 45 e 55. «Molti addetti ai lavori, nel corso della nostra carriera, hanno tentato di scoraggiarci per quella strana ragione che marchia il dialetto siciliano come la lingua usata dalle persone rozze, ignoranti e poco istruite», spiega Maurizio. E anche se questo giudizio ha rallentato la loro avanzata verso il panorama musicale nazionale – procurando anche a loro stessi qualche perplessità -, Calandra&Calandra non si sono scoraggiati.

«In effetti ci sono stati momenti in cui abbiamo pensato di lasciar perdere tutto e di puntare sulla lingua italiana che – spiega Maurizio – ci avrebbe aperto sicuramente più porte». Ma la voglia di portare alla ribalta dei network radiofonici nazionali le canzoni della tradizione siciliana è stata più forte della prospettiva di un successo semplice da raggiungere. Il momento di rottura Calandra&Calandra lo avvertono quando capiscono che «quello che poteva essere un punto debole del nostro stile poteva trasformarsi nella marcia in più». E si spiegano meglio: «I siciliani sono emigrati un po’ dappertutto nella loro storia, basti pensare a tutti i nostri conterranei che sono andati a lavorare negli stabilimenti piemontesi della Fiat o – aggiungono -, a tutti quelli che si sono spinti Oltreoceano». «La musica siciliana ha un pubblico siciliano anche fuori dai confini geografici di questa ridente terra, bastava solo trovare il modo di raggiungerlo per bene», concludono Calandra&Calandra. Che continuano negli anni a tentare la missione di «fare passare in tutte le radio le canzoni della tradizione».

È merito della loro caparbietà se nel giro di qualche anno le loro rivisitazioni di ‘U sciccarieddu, La baronessa di Carini, ‘U matrimonio e Si maritau Rosa vengono esportati negli Stati Uniti d’America, in Guatemala e a Milano, circolando anche nelle radio siciliane «che pure loro hanno avuto non poche perplessità all’inizio», commentano. «Ci sbagliamo o la musica napoletana ha un vastissimo pubblico anche fuori dalla città di Napoli? È arrivato il momento di esportare la nostra sicilianità», fa un paragone il duo. E proprio il concetto di sicilianità è il nodo della loro musica di influenze folk miste a suoni moderni. «Abbiamo aggiunto alle storie dei vari miti siciliani le sonorità delle genti che ci hanno conquistato per rendere tutto più orecchiabile – precisa Maurizio -, radiofonico, moderno e caldo». E anche il calore ha un ruolo importante nella loro visione di Sicilia e di musica. «Con tutto il caldo che per geografia assorbe questa terra la musica e la gente non potrebbe essere fredda», dice Maurizio. Che si collega alla cronaca: «Ci sono pochi popoli in grado di accogliere chi sbarca in Sicilia con i barconi della speranza con lo stesso calore che ci mettiamo noi».

E il pubblico delle radio, oltre a quello che li segue con costanza nei vari appuntamenti concertistici in giro per la Sicilia, sembra apprezzare il gioco che mescola antico e moderno. «I bambini sono affascinati dalle melodie e dalle storie, i giovani sono incuriositi da motivi che non conoscono e quelli più vecchi si immergono nei ricordi di quando andavano a ballare Ciuri ciuri nelle balere degli anni ’50», si inorgogliscono Calandra&Calandra. Che attualmente stanno partecipando a un contest organizzato da Radio Capital. Il loro singolo Sicilianu tipu stranu è stato selezionato tra più di quattromila brani e adesso disputerà la finale contro altri sette pezzi radiofonici. «Puntiamo a vincere il contest perché in palio c’è l’apertura di un grosso concerto di un big della musica italiana», affermano. Ma non hanno fretta di calcare i palcoscenici più grandi perché «ci ripetiamo sempre che anche i Buena vista social club sono stati scoperti all’età di ottant’anni e, facendo due conti, abbiamo ancora un margine di trent’anni per raggiungere il successo». 


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