Assessore Li Calzi difende riforma teatri   «Settore da ristrutturare. Demagogia inutile»

Apertura al confronto, ma senza alzare cortine fumogene perché i tempi, e soprattutto la situazione finanziaria generale, non lo permettono. L’assessora regionale allo Spettacolo, Cleo Li Calzi, interviene nel dibattito sui tagli ai teatri siciliani previsti nella Finanziaria 2015, per invitare tutti le parti in causa – sindacati su tutti – a non trarre facili conclusioni e ad accettare un dato di fatto da cui, volenti o nolenti, non si potrà prescindere: mettere in discussione lo status quo del sistema Regione è una necessità.
Ciò vale, pertanto, anche per il settore dello spettacolo, anche se – tiene a sottolineare Li Calzi – la riforma potrebbe essere molto migliore di quello che sembra.

Assessore, l’annuncio dei nuovi tagli ai teatri ha dato il là alle proteste dei professionisti dello spettacolo. C’è già chi afferma che se saranno confermati, saranno molte le realtà costrette a chiudere i battenti.
«È naturale che ogni riforma venga accolta con diffidenza, perché mette in discussione equilibri consolidati. Questo però non significa che la situazione per i teatri siciliani peggiorerà. Anzi, le dico già da ora che questa potrebbe essere l’occasione per un rilancio dell’intero settore dello spettacolo».

Difficile immaginare un rilancio che passi da una riduzione delle risorse.
«Ho convocato per mercoledì un incontro con i sovrintendenti dei teatri, e nel caso di mancanza di sovrintendenti con i direttori, per spiegare loro quali sono le azioni che dovranno essere intraprese per garantire un riequilibrio economico-finanziario degli enti. Perché il primo passo da fare è quello di riconoscere che molti teatri siciliani sono gravati da situazioni finanziarie ai limiti dell’insolvenza. Solo partendo da questa presa d’atto si può pensare di ripartire. I teatri non possono essere considerati come macchine pararegionali che puntano a coprire i costi del personale, che peraltro in molti casi è più che folto».

Intanto, però, il sovrintendente del Massimo di Palermo e il direttore del Biondo hanno detto chiaramente che ulteriori tagli potrebbero affossare definitivamente il futuro dei due teatri.
«Sull’argomento c’è molta confusione. Spesso si tende a leggere un capitolo del bilancio tralasciando gli altri. Noi abbiamo fatto una riforma della retribuzione del settore delle arti e dello spettacolo che istituisce nuove regole per realizzare il riequilibrio dei teatri pubblici e privati. L’obiettivo, dunque, è quello di ristrutturare i debiti anche perché i 15 milioni del Ris (il Fondo di rotazione per la salvaguardia approvato con l’assestamento del bilancio 2014, ndr) non bastano. Per farlo, proponiamo il Furs, il Fondo unico regionale per lo spettacolo sulla stregua del Fus nazionale».

In che modo il Furs risolverà i problemi dei teatri siciliani?
«Innanzitutto garantendo risorse a quelle realtà che dimostreranno di recepire delle direttive tramite le quali si potrà salvare i teatri in crisi. Si tratta di un fondo di 5 milioni di euro, da dividere equamente tra pubblico e privato. La scelta è stata quella di destinare il 7% delle risorse ai teatri a questo fondo, a cui si potrà accedere rispettando tre regole».

Quali?
«Innanzitutto, essere disposti a ridiscutere i contratti per quanto riguarda l’integrativo aziendale che non dovrà più essere fisso ma essere proporzionato alla produttività. Ridiscutere non significa annullarlo trasversalmente: è una misura che chiaramente potrà essere rivolta agli stipendi più corposi, compresi quelli dei direttori che dovrebbero capire che, con i tempi che corrono, potrebbero rinunciare a qualcosa. L’integrativo aziendale andrebbe portato alla stregua dello straordinario, ma ripeto la prima cosa da fare è essere disponibili a ragionarne insieme.
Il secondo punto riguarda, invece, una rivisitazione delle piante organiche che punti al riequilibrio tra personale amministrativo e tecnico. Molti teatri hanno un esubero di personale amministrativo a causa di gestioni inefficienti tollerate da una cattiva politica con il beneplacito dei sindacati. E se è vero non possiamo parlare di licenziamento, possiamo, però, pretendere che si creino le condizioni per evitare che certi teatri siano pieni di amministrativo mentre poi si esternalizzano i servizi tecnici.
Il terzo obiettivo da perseguire per accedere al Furs, infine, riguarda un utilizzo più razionale delle risorse, che punti maggiormente ai ricavi e al botteghino, e che incentivi l’esibizione anche all’esterno dei confini regionali.

Rispettando queste direttive, quali sarebbero concretamente i vantaggi per i teatri siciliani?
Il principale sarebbe quello di accorgersi che i temuti tagli non sarebbero più del 12%, come leggo, ma di poco più del 5%. Alcuni, però, sembrano ragionare come se fossero già convinti di non accedere alle risorse del Furs».

Dai sindacati, intanto, c’è chi la definisce incompetente; uno dei peggiori assessori che la Regione ha avuto, incapace di fare qualcosa in un anno.
«Beh, potrei iniziare a correggere le loro dichiarazioni ricordando che sono in carica da sei mesi. Tuttavia, più che stare a fare polemica, la mia intenzione è quella di cercare in tutti i modi un dialogo. Arroccarsi su posizioni considerate acquisite, senza comprendere la difficoltà del momento sarebbe l’errore più grave». 

Tra i suggerimenti che le danno c’è quello di garantire una programmazione finanziaria su base quinquennale.
«Mi spiace dirlo ma si tratta di demagogia. La legge parla chiaro: i bilanci pubblici possono essere fatti su base triennale. Fare riferimento ad altro ha poco senso, se non quello, come detto, di alzare polveroni che non portano da nessuna parte».

Chi potrebbe beneficiare di questa riforma sono le realtà private.
«Il nostro intento è stato quello di favorire la circuitazione del settore, così come avviene in tutto il mondo. Destinare il 50% del Furs ai teatri privati non significa certo sperperare denaro pubblico. Va ricordato, infatti, che il più delle volte parliamo di enti ampiamente partecipati dalla Regione. Il mio invito è quello di guardare alla riforma nel suo complesso, senza pregiudizi».

La speranza come ogni anno è quella di fare affidamento all’assestamento di bilancio previsto per l’estate.
«Credo sia sbagliato pensare all’assestamento come a un tesoretto che la Regione ha messo da parte, pronto per essere devoluto a luglio. Se quelle risorse le avessimo già le avremmo già inserite adesso in bilancio. Bisognerebbe concentrarsi sul Furs, e poi vedere cos’altro si può fare con i ritocchi al bilancio, che in ogni caso non rappresenteranno un’erogazione indiscriminata di fondi».

Se Palermo piange, Catania di certo non ride. Il Teatro Stabile, così come il Biondo, è stato considerato teatro di rilevante interesse culturale e non teatro nazionale. Questo, secondo la riforma Franceschini, ha impedito all’ente catanese di accedere a risorse nazionale.
«Si trattava di un bando ben preciso. La questione dello Stabile di Catania e del Biondo è particolare, perché se da un lato va detto che non è così comune per una Regione avere due teatri stabili di questa caratura, dall’altro si potrebbe pensare a un’unificazione con l’obiettivo di mettere insieme le forze per presentarsi con ancora maggior forza sul piano nazionale. Quest’ultimo punto, però, non è così semplice da realizzare, per diversi fattori che vanno dalla distanza delle due strutture alle differenti identità culturali delle due città».

Allo Stabile di Catania c’è chi dice che la Regione da un anno attende di nominare un revisore dei conti e che questo abbia ostacolato l’attività dell’ente.
«Non è così, i revisori dei conti dello Stabile sono operativi. È vero che al momento manca un componente, e manca perché chi era stato scelto non ha accettato l’incarico».

Rimanendo nella città etnea, il Bellini ha un nuovo sovrintendente. Il sindaco Bianco ha dichiarato che finalmente il teatro può puntare su un manager della cultura. È giunto il momento di fare a meno dei direttori artistici?
«Per nulla. Sovrintendente e direttore artistico sono due figure diverse, con competenze differenti ma che si completano a vicenda. Il settore necessita senz’altro di riforme, anche profonde, ma che vanno fatte con attenzione perché, magari qualcuno non mi crederà, rimango convinta che la nostra terra può puntare sulla cultura e sul turismo culturale per rilanciare lo sviluppo».


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