Si è aperto al Centro Zo il ciclo di appuntamenti su una questione tanto attuale quanto complessa. A organizzarlo è l’associazione etnea Punto a capo. «Il problema non è se uno Stato fa un debito con una banca, ma il modo in cui vengono utilizzati i soldi», spiega l'ex docente universitario di Economia e finanza Vincenzo Comito
Catania, incontro sul tema del debito pubblico «Se usciamo dall’euro, falliamo in pochi giorni»
«Il debito non è un’entità astratta e metafisica che con violenza si è insinuato nella vita di tutti». Apre così il professore di Finanza ed economia aziendale Vincenzo Comito, ospite del primo di una serie di appuntamenti organizzati al Centro culture contemporanee Zo dall’associazione etnea Punto a capo. La onlus si costituisce per approfondire temi che «permettano di elaborare un pensiero critico in grado dare un contributo al dibattito sociale sulla politica, l’economia e la cultura della città», precisa uno dei membri dell’associazione etnea. Che subito dopo dà la parola a Comito.
L’ospite si presenta come un ex docente universitario, consulente finanziario e «persona da qualche anno interessata di crisi e debito pubblico, e da sempre di finanza». «Prima di diventare professore e rimanere tale per 33 anni – racconta -, ho lavorato in tre piste di possibile sviluppo italiano che poi sono terribilmente fallite». L’elenco è breve ma di un certo spessore e annovera l’Iri, il gruppo Olivetti e il Movimento cooperativo. Il punto di partenza della riflessione che offre al pubblico è l’irrefrenabile aumento del debito pubblico e di quello privato. «Spesso, noi cittadini, siamo portati a pensare che il prestito di denaro di cui si avvale uno Stato sia una cosa negativa – prosegue – invece con i debiti si possono anche apportare miglioramenti nella società». Il dramma che segnala Comito è però l’uso di queste risorse per tamponare situazioni di progressivo dissesto finanziario che determinano «un’altrettanta progressiva stagnazione dell’economia».
Prima di portare il dibattito sui punti deboli dell’euro e sulla situazione finanziaria dell’Italia, Comito illustra – dietro richiesta del pubblico – il cosiddetto «giochetto del debito». Il docente parla in modo semplice quando spiega che «il debito è entrato a far parte delle nostre vite nel periodo che intercorre tra il 2007 e il 2008, quando si infrange la bolla dei prestiti immobiliari negli Stati Uniti». È questo il momento di rottura tra una situazione economica mondiale stagnante e un nuovo corso economico. Quest’ultimo fatto di «spending review, profitto, imprese, denaro e leggi finanziarie che iniziano a entrare nelle vite delle classi medie fino ad allora ignare», precisa. Il paragone è con un’altra crisi storica, quella americana del 1929. E la sua spiegazione delle condizioni finanziarie attuali mondiali risiede «nel fatto che gli Usa non sono in grado di governare il mondo, mentre la Cina non è ancora in grado di farlo completamente», afferma Comito.
Diverso è il caso della situazione italiana e di quella greca, strettamente collegate all’avvento dell’euro e a una paventata uscita dal regime della moneta unica. E quando Comito interviene sul tema l’attenzione del pubblico è totale. «Perché non possiamo uscire dall’euro?», domanda un ex docente universitario in sala. «Non pensa che siano proprio le banche a generare questa cosa del debito?», gli fa eco un urbanista. «Perché non dice che in fondo l’Italia e il mondo si trovano in questa situazione perché c’è stato qualcuno che si è mangiato tutto?», azzarda una donna. «Sebbene l’euro sia una moneta molto debole perché non ha uno Stato, non ha un popolo e aizza la competitività tra Paesi del Nord e del Sud – risponde Comito -, se l’Italia torna alla lira fallisce nel giro di cinque giorni, perché l’inflazione ci ucciderebbe».
Sulla questione del debito il docente è ancora più fermo e ribadisce che «il problema non è se uno Stato fa un debito con una banca o viceversa, ma il modo in cui vengono utilizzati i soldi. È una questione di redistribuzione e di concentrazione del denaro in pochissime mani», afferma il professore. Che conclude attribuendo le responsabilità della situazione economica mondiale dissestata all’avvento del capitalismo. «Il capitale ha fatto diventare il potere politico una scatola vuota che si può riempire solo con i soldi. È per questo che per un Paese avere un leader o un altro non fa differenza», afferma. E aggiunge, prendendo come esempio l’Italia: «Cosa cambia, in quest’ottica, tra Matteo Renzi e Matteo Salvini?».