Liberi consorzi da 9 a 6, tutto da rifare per Gela Il destino delle città che avevano scelto Catania

Fino alla scorso pomeriggio se si chiedeva a Filippo Franzone (coordinatore del Comitato per lo sviluppo dell’area gelese) a che punto si fosse giunti nell’interminabile telenovela dei liberi consorzi siciliani, si limitava a rispondere «bisogna andare avanti, la situazione a livello regionale è di stallo». Proprio ieri però si scopre che il nuovo testo giunto su tavoli della commissione Affari istituzionali dell’Ars riduce di fatto i liberi consorzi da nove a sei, facendo coincidere le ex province di Palermo, Catania e Messina con le omonime città metropolitane

Una beffa insomma per quei comuni che hanno deciso di aderire a quei consorzi. Il caso più lampante è quello di città come Gela, Niscemi e Piazza Armerina, che avevano detto sì al libero consorzio di Catania attraverso un referendum. Il danno è evidente specie per Gela, che non faceva mistero della volontà di essere capofila del consorzio etneo, visto che ha il numero di abitanti più ampio dopo Catania. Tutto da rifare, a partire dal referendum che nell’estate scorsa aveva visto oltre 23mila cittadini esprimere la propria preferenza per il sì. Un impegno economico notevole per il Comune che aveva speso 200mila euro in tempi di vacche magre, nonché un impegno indefesso per le tante associazioni che al vecchio sogno di Gela provincia non avevano mai smesso di credere. 

Provincia o libero consorzio, insomma, per la città del golfo non s’ha da fa’. Uno smacco doppio per il presidente della Regione Rosario Crocetta, che qui c’è nato e su questa non riforma da sempre annunciata come epocale rischia di morirci, politicamente parlando. 

«Per noi – spiega Franzone – continua ad essere riferimento la legge numero 8 del 2014 che istituisce i liberi consorzi e le città metropolitane, così come previsto dall’articolo 15 dello Statuto regionale». Ma secondo il nuovo testo, invece, le città che avevano aderito ad un consorzio differente dalla vecchia provincia potranno esprimere la volontà di rientrare presso l’ente di area vasta di provenienza attraverso una delibera del consiglio comunale, che dovrà essere adottata a maggioranza di due terzi dei componenti, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della riforma se fosse approvata dall’Ars così come scritta dal governo. La posizione di chi si è impegnato per i liberi consorzi è chiara. «Mai con Caltanissetta – dice Franzone – e neanche con la città metropolitana, noi abbiamo aderito al libero consorzio di Catania, e perciò stiamo valutando se una legge ordinaria che intende abolire un referendum possa essere costituzionale».

Il M5S definisce questo nuovo ddl «una vergognosa marcia del governo in omaggio alla lobby dei sindaci», riferimento neanche tanto velato ad Orlando e Bianco rispettivamente per Palermo e Catania. In questa luce diventa ancora più interessante il secondo convegno regionale sui liberi consorzi, che si svolgerà venerdì 13 febbraio presso il teatro Garibaldi di Piazza Armerina. Ci saranno tra gli altri da una parte Leoluca Orlando e Giovanni Ardizzone, presidente Ars, dall’altra i sindaci di Niscemi, Caltagirone e Gela.


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