Tirocini formativi: la politica è compromessa, evitiamo di comprometere anche la Giustizia

IN QUESTA BRUTTA STORIA IL VERO PERICOLO E’ CHE NELL’IMMAGINARIO DI TANTI SICILIANI PASSI LA TESI CHE ALCUNI PERSONAGGI, NEL NOME DI UNA MALINTESA LEGALITA’, POSSANO FARE COSE CHE AI COMUNI CITTADINI SONO VIETATE. E QUESTO SAREBBE DEVASTANTE

“Ripetere una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”, diceva Joseph Goebbels. E’ questa, grosso modo, la frase che ci è venuta in mente, ieri, pensando alla politica siciliana. A una politica che non ha nemmeno il coraggio delle proprie azioni. Che combina gli ‘inchiappi’ e poi cerca di scaricare su altri le proprie responsabilità. Nella serena, solare e olimpica certezza che nessuno gli chiederà conto e ragione del proprio operato e, soprattutto, delle bugie.

Ieri le moderne tecnologie ormai di uso comune hanno consentito ai siciliani di assistere in diretta ai lavori della Commissione Cultura e Lavoro dell’Assemblea regionale siciliana. Così abbiamo assistito a un paio di scene che, con molta probabilità, resteranno impresse nella memoria di tanti siciliani.

Da un lato la dottoressa Anna Rosa Corsello, dirigente generale dimissionaria dei dipartimenti Formazione professionale e Lavoro della Regione siciliana. Dall’altro lato la giovane assessore regionale alla stessa Formazione, Nelli Scilabra.

Sullo sfondo un Governo regionale, che professa ‘trasparenza’ amministrativa, legalità e antimafia. Ma che ha provato a spendere circa 100 milioni di euro nel nome dei giovani disoccupati ricorrendo a procedure che definire strane e inusuali è poco.

Un Governo regionale che ha deciso di assegnare i tirocini formativi ai giovani disoccupati siciliani non sulla base del merito e dei curricula, ma con una sorta di gioco di velocità con i computer. Escludendo, a priori, una fetta consistente di giovani disoccupati della nostra Isola: tutti quelli che non vanno sulla rete.

Un Governo regionale che decide – scientemente – di ‘sterilizzare’ alcuni uffici pubblici della stessa Amministrazione regionale per far lavorare alcune società ‘esterne’ all’Amministrazione regionale. Assegnando a queste ultime lavori (e quindi denaro pubblico) non attraverso un’evidenza pubblica, come prescrive la Legge, ma attraverso affidamenti diretti.

Ieri abbiamo ascoltato le parole della giovane ‘assessora’ Nelli Scilabra – che poi, nei modi di fare, tanto giovane non ci è sembrata, visto che ci ha ricordato meccanismi del potere che pensavamo di esserci lasciati alle spalle – che, candidamente, ha negato le responsabilità di scelte adottate dal Governo del quale fa parte.

Leggendo la relazione della dottoressa Corsello – che il nostro giornale pubblica integralmente – si capisce con chiarezza che certe scelte piuttosto discutibili sono farina del sacco della politica e non della burocrazia.

La scelta di utilizzare la rete per assegnare i tirocini formativi non può che essere una scelta politica. La scelta di non utilizzare alcuni uffici della Regione non può che essere una scelta politica. Il ricorso a società esterne all’Amministrazione, senza evidenza pubblica, non può che essere una scelta politica.

Negare questi fatti evidenti, appigliandosi al principio che la politica impartisce le direttive e la burocrazia ‘firma le carte’ è operazione di grande scorrettezza. Lo ribadiamo: siamo davanti a una politica che non ha nemmeno il coraggio di assumersi le proprie responsabilità.

Noi – come tanti altri giornali – abbiamo seguito questa vicenda. E sappiamo benissimo che molti di questi atti amministrativi contestati sono passati prima dal vaglio della Giunta regionale.

Questa vicenda, in primo luogo, ci dimostra, ancora una volta, i danni che stanno provocando le cosiddette leggi Bassanini, ovvero la separazione tra politica e amministrazione.

Lungi dal separare la politica dall’amministrazione, queste leggi, di fatto, hanno creato una totale dipendenza dell’alta burocrazia dalla politica. I Governi, a tutti i livelli, danno le direttive, anche sbagliate; e gli alti burocrati sono messi davanti a un bivio: o firmano o vengono sostituiti da altri burocrati più ‘malleabili’.

Certo, il limite è rappresentato sempre dalla legalità amministrativa di un atto. Quindi dalla razionalità di un atto d’indirizzo trasformato in atto amministrativo.

In questa vicenda – e questo è un fatto oggettivo, sotto gli occhi di tutti – questo limite è stato oltrepassato. Non – o quanto meno non solo – come qualcuno oggi cerca di far credere, dall’alta burocrazia, ma dalla politica che ha impartito direttive sbagliate, rinnegandone, poi, la paternità.

In questa brutta storia il problema non è più politico e amministrativo. Il problema, ormai, è di Giustizia nel senso più alto del termine.

Noi facciamo i giornalisti. Il nostro compito è riportare i fatti. Ma anche registrare gli umori della società.

Ed è per questo che abbiamo il dovere di dire ai magistrati che in Sicilia, già da qualche tempo – e in queste ore in modo piuttosto marcato – nell’immaginario di tanta gente, sta passando un messaggio devastante. E cioè che se ‘certi atti’ – benché non esattamente ‘trasparenti’ – li compiono alcuni personaggi, tutto passa in cavalleria. Mentre se gli stessi atti vengono compiuti da altri soggetti scattano immediatamente le sanzioni, anche pesanti.

Noi non crediamo che le cose stiano così. Però non vogliamo cominciarlo a credere.

Ribadiamo: il problema, a questo punto, non è politico. O quanto meno, non è solo politico. Se la giovane assessore Scilabra, dopo tutti i disastri politici che ha combinato, dovesse decidere di non dimettersi, beh, sono fatti suoi e dei suoi sponsor politici.

A monte di questa incredibile storia, però, c’è un problema di credibilità delle istituzioni – politiche e non soltanto politiche – che rischiano di venirne fuori appannate, se non compromesse. E questo va evitato. Assolutamente.

 


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