Mare Nostrum o Mare Monstrum? Cronache di una strage dimenticata

DAGLI ANNI ’90 AD OGGI SONO CIRCA 20 MILA I MORTI NEL MEDITERRANEO. PROVIAMO A RAGIONARE SU QUELLO CHE STA SUCCEDENDO

di Luigi Capitano

 

Mare nostrum è l’importante operazione di soccorso della marina militare e della guardia costiera italiana che, dopo la tragedia del 3 ottobre scorso, ha in pratica posto fine all’ignominiosa “politica dei respingimenti in mare”, consentendo di salvare migliaia di vite umane e di profughi africani in fuga dalla guerra e dalla fame. Ora Mare nostrum rischia di lasciare il posto a un Mare-Monstrum, di scivolare nel Mare-Maelstrom, di un’Italia e di un’Europa che non sanno o non vogliono essere all’altezza del proprio compito.

1. Alcuni dati allarmanti. Con l’arrivo del bel tempo aumentano gli sbarchi sulle nostre coste, ma non diminuiscono le tragedie. Si pensi alla fine tremenda dei 45 migranti morti asfissiati nella stiva di un barcone approdato pochi giorni fa a Pozzallo.

Non parliamo degli indesiderati “effetti collaterali” delle operazioni di soccorso, dal momento che le navi militari non sono sempre adeguate a questo genere di operazioni di salvataggio. Ma il dato di fondo più impressionante resta quello fornito dalla Caritas: dagli anni Novanta ad oggi, sono almeno 17.000 gli uomini che hanno perso la vita nel tentativo di attraversare il mar Mediterraneo. Si tratta di circa 20.000 morti negli ultimi vent’anni.

Per comprendere queste cifre e questi dati, bisogna non dimenticare che, a partire dagli anni Novanta, l’Eurora ha adottato delle politiche restrittive del diritto d’asilo, in dispregio di tutte le norme internazionali che regolano il diritto dei migranti (per la cronologia rimando al sito di Fortress Europe: per la tragedia di Lampedusa al numero di “Internazionale” dell’11 ottobre 2013).

2. Il dramma dei vivi. Alle tragedie del mare si aggiunge poi il dramma dei vivi o dei sopravvissuti. L’Italia si trova in ogni caso in prima fila, e non può nascondere lo scandalo delle stragi dimenticate, la vergogna dei profughi reclusi e sequestrati contro la propria volontà nei centri di “accoglienza”, di quelli rimasti inascoltati che si cucivano – letteralmente! – la bocca per protestare i loro diritti, dei minori non accompagnati che fuggivano dai centri perdendosi nel nulla, dei disperati che si impiccavano in cella (come è successo al Centro di accoglienza di Mineo), di quelli che a Lampedusa venivano innaffiati nudi all’aperto per la disinfestazione antiscabbia e a cui non veniva fornito né un tetto, né una tenda per dormire e per ripararsi dalla pioggia. Si ricordi, fra parentesi, che il centro di accoglienza di Lampedusa non è stato ancora ricostruito da quando venne dato alle fiamme nel 2011.

Il Consiglio Italiano per i Rifugiati ha già stigmatizzato il nostro ministero degli Interni, ritenuto il maggior responsabile della situazione. E questa censura si aggiunge a quella del commisario europeo Malmström, che minacciava di bloccare i fondi europei, qualora in Italia non fossero state ripristinate condizioni di un’accoglienza dignitosa e in linea con gli standard europei. Senza contare il fatto che sui centri di accoglienza, e non solo su quelli di Lampedusa e di Mineo (il più grande d’Europa), c’è chi ci ha perfino lucrato, all’ombra dei diritti umani negati (www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/24/guadagnare-con-i-centri-daccoglienza-lampedusa-e-mineo-stessi-gestori/823623/ ; http://www.meltingpot.org/).

Il periodo peggiore si è registrato quando, in seguito agli accordi scellerati fra Berlusconi e la Libia di Gheddafi, l’Italia ha deciso di respingere in mare i profughi, criminalizzando e sbattendo in carcere – con il reato di clandestinità – quelli che riuscivano ad arrivare e a rimanere in Italia. Abbiamo dovuto subire, non dimentichiamolo, una condanna da parte della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo per una nave di profughi somali ed eritrei respinta verso la Libia nel 2009.

Ma sarebbe ora che, mentre l’Italia continua a sprofondare nelle sabbie mobili della sua politica di stallo, almeno l’Europa si scuotesse dal proprio torpore e riuscisse a prendersi le proprie responsabilità, ritrovando una sola voce oltre le strette della crisi di civiltà – prima ancora che economica – che la frenano verso il cammino di integrazione e coesione. Un rapporto dell’OCSE, reso noto in questi giorni, rileva, sulla base di dati oggettivi, il modo indegno in cui gli immigrati sono stati e vengono ancora trattati in Italia. Anche l’UNHCR redarguisce l’Europa per il suo scarso impegno. Amnesty International, dal canto suo, ammonisce che “gli stati membri dell’Unione europea devono, finalmente, cominciare a mettere le persone prima delle frontiere”.

A questo coro di denunce si uniscono, inascoltate, le organizzazioni umanitarie non governative più impegnate sul campo come la Croce Rossa e Save the Cildren.

3. Ma non s’era detto: “mai più”? Torniamo al nostro Mediterraneo, al mare “di mezzo” che spesso divide, anziché unire, tre continenti. Dopo che nell’Africa mediterranea sono fallite le speranze suscitate dalla primavera araba (con il ritorno alle dittature militari, ai “signori della guerra”, ai governi corrotti che continuano a svendere le loro risorse naturali o energetiche alle multinazionali) si dovrebbe comprendere la vulnerabilità di una generazione di giovani (spesso istruiti e titolati), costretta dalla disperazione a cercare una via di salvezza in Europa.

Dopo il tragico naufragio del 3 ottobre in cui persero la vita più di trecentocinquanta migranti, in Italia (come in Europa) s’era detto solennemente: “mai più”. Eppure, era passata appena una settimana e già un’altra strage – quella dell’11 ottobre – denunciava oltre che la mancanza di monitoraggio e coordinamento, i gravi ritardi dell’Italia che, scaricando su Malta la disperata richiesta di soccorsi immediati, lasciava affogare in mare, ancora al largo di Lampedusa, centinaia di profughi africani, decine di bambini, ammassati su un barcone.

L’imbarcazione era naufragata a causa degli spari della guardia costiera libica che fra l’altro avevano colpito a morte due uomini a bordo. In fondo al mare fu ritrovata, fra le vittime, una giovane madre che stringeva in braccio il suo piccolo appena nato sul barcone pochi minuti prima… Tre medici siriani che hanno perso moglie e figli nella tragedia, hanno raccontato la loro storia. Questo secondo naufragio di ottobre è passato in sordina anche da parte dei mass media (alcune testimonianze dei superstiti sono state raccolte in esclusiva da un’inchiesta dell’Espresso, consultabile sul sito: http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/07/news/la-verita-sul-naufragio-di-lampedusa-quella-strage-si-poteva-evitare-1.140363). È come se quel barcone si fosse inabissato una seconda volta, nella cattiva coscienza dell’Italia.

Ora, se di fronte a stragi come questa rimane pacifica la colpa delle autorità libiche e degli scafisti, le responsabilità dell’Italia e dell’Europa ci sembrano nondimeno gigantesche, e non solo sul piano etico. Ricordiamoci che questo gravissimo episodio – aggravato dall’ulteriore strage della memoria – non è una semplice tragedia del mare e del destino: qui si tratta di guardie libiche che hanno sparato deliberatamente contro centinaia di profughi inermi e contro decine di bambini, mentre rimane da valutare l’impatto che su tutta la vicenda potrebbero avere esercitato di fatto i nuovi accordi fra Italia e Libia nel segno del rigore e del contrasto ai nuovi flussi. Si attende ancora l’esito dell’inchiesta (che mi auguro anche l’Italia, come Malta, abbia avviato).

4. L’indegno rimpallo fra Italia ed Europa. Ricordiamo tutti l’ipocrita parata dei funerali di stato riservati alle vittime del naufragio a San Leone, senza l’invito a partecipare dei familiari delle vittime, che non poterono nemmero riconoscere e onorare le bare subito richiuse dei loro cari estinti, e che a Lampedusa non poterono far altro che lanciare fiori in acqua… Lo choc del 3 ottobre – con quelle lunghe file di bare surrealmente chiuse in un hangar – avrebbe dovuto scuotere l’inerzia dell’Europa che, venti giorni dopo la tragedia, a Strasburgo si limitava ad una proclamazione di buone intenzioni, impegnandosi a “modificare o rivedere eventuali normative che infliggono sanzioni a chi presta assistenza in mare” (un velato riferimento alla Bossi-Fini).

Il ministro Alfano, che aveva difeso ad oltranza quella famigerata legge, auspica ora che Frontex (l’Agenzia europea nata nel 2005 per il controllo delle frontiere) debba sostituirsi all’operazione italiana di Mare nostrum (di cui però nel frattempo rivendica i meriti). Dal canto suo, il commissario europeo per gli affari interni Cecilia Malmström replica che occorre ancora del tempo perché Frontex riesca a dotarsi degli strumenti necessari.

Questo rimpallo di responsabilità fra Italia ed Europa mi sembra uno spettacolo avvilente e ben poco edificante. Ma abbiamo inteso bene? Abbiamo contato i mesi? Ci volevano nove-dieci mesi per partorire una simile conclusione? Per continuare a decidere di rimandare ogni decisione nel momento stesso in cui il fenomeno della migrazione e dei naufragi sul Canale di Sicilia va assumendo le proporzioni gigantesche di un esodo biblico? E che dire della famosa riunione dell’UE tanto sbandierata e tanto attesa per fine giugno? Ebbene, il Consiglio europeo ha finalmente dettato le sue linee-guida al nuovo Parlamento, da poco uscito dalle urne, e cosa dice? Ribadisce che occorre continuare ad avvalersi del sistema Frontex (che come abbiamo visto, sembra essere ancora pronto dopo dieci anni!), supportato da un “nuovo sistema europeo di sorveglianza delle frontiere”, denominato Eurosur, partito da pochi mesi.

Si continua dunque a parlare di sorveglianza delle frontiere, come se l’Europa fosse una fortezza da difendere dall’invasione dei barbari afroasiatici! Il neopresidente della Commissone europea Junker ha posto in agenda il tema immigraziome, istituendo un commissario speciale per l’emigrazione e promettendo un aumento del budget destinato a Frontex. Staremo a vedere. Fino a questo momento, rimangono assolutamente irrisori i fondi stanziati da Bruxelles per fronteggiare – si fa per dire – l’inarrestabile crisi umanitaria rappresentata dai centinaia di migliaia di profughi africani (eritrei, siriani, somali, ecc.) che in Europa cercano una via di salvezza dall’inferno del deserto, dopo tutte le violenze, le persecuzioni e le torture subite.

Si ricordi che, a parte i richiedenti asilo per motivi di lavoro (“profughi economici”), la maggior parte dei migranti fuggono da teatri di guerra e dalla miseria, quando non vengono addirittura rapiti dalle bande di trafficanti di vite umane, spesso con la complicità della polizia e delle milizie. L’Italia sopporta una spesa non certo indifferente per l’operazione Mare nostrum, questo è vero, ma nel frattempo non rinuncia a foraggiare in sordina – dotandola di nuove motovedette, ecc. – quella stessa guardia costiera libica che non ha esitato a sparare contro profughi inermi, come è accaduto contro un barcone di cinquecento profughi siriani, quel dimenticato 11 ottobre, causando più di 260 vittime, fra cui una sessantina di bambini.

5. Una crisi umanitaria senza fine. Alla catastrofe siriana e alla crisi endemica del Corno d’Africa, si aggiungono le fiumane umane di rifugiati che transitano nei campi profughi sudanesi, libanesi, giordani, tunisini, e via elencando. Per non parlare della nuova inquietante incognita irachena e del vecchio dramma palestinese che si riaccende periodicamente. Si parla di tre milioni di profughi provenienti da diverse regioni afroasiatiche che premono sulle coste libiche e alle frontiere del Mediterraneo, con la Grecia, la Spagna e l’Italia fare da Cerberi (anche se come abbiamo detto, il nostro Paese, dopo l’era Berlusconi, ha almeno abbandonato la criminale politica dei respingimenti…).

Intanto, a fronte di migliaia di uomini tratti in salvo dalle mitiche navi militari (la Chimera, la Fenice, la Cassiopea, la Minerva…) dei nostri encomiabili soccorritori della marina, i barconi della speranza e della morte continuano ad affondare nel Mediterraneo e insieme ad essi non cessa di sprofondare la nostra civiltà, la Zattera della Medusa… Finora l’impresa di Mare nostrum si è distinta per il suo meritorio impegno di salvataggio in mare e di soccorso umanitario, ma non dobbiamo nemmeno trascurare il fatto che nel contesto di questa operazione s’inquadrano pure gli accordi presi dall’ex ministro della Difesa Mauro per l’addestramento di militari libici in Italia, che già sono pronti a frenare i nuovi flussi dall’Africa, e a svolgere un’azione di contrasto preventivo a danno dei nuovi richiedenti asilo. Europa della Malmström o meno, ci chiediamo se anche Mare nostrum sia destinato a scivolare nel gorgo del mare-maelstrom, del mare-monstrum che inghiotte la disperazione di un continente da sempre abbandonato al proprio destino.

6. Dunque, che fare? Delle soluzioni immediate si possono immaginare. Si dovrebbero intanto presidiare (da parte di un’agenzia dell’ONU come l’UNHCR) con centri di prima accoglienza i punti di partenza dei profughi, in modo da sottrarre le traversate dei migranti al ricatto e al mercato degli scafisti, magari sulla base di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza. Ma il problema è spesso l’instabilità dei governi del Maghreb. Ad esempio, a Tripoli regna ancora il caos e dopo la caduta di Gheddafi – provocata dalle potenze occidentali – la Libia è rimasta in preda a lotte tribali intestine. Ma la questione di fondo rimane un’altra: la volontà, da parte dell’Europa, di affrontare in maniera concertata con i Paesi africani le ragioni profonde delle crisi. Si dovrebbe cominciare a pensare ad una serie di conferenze euromediterranee sulla difesa dei diritti umani e dei migranti, da allargare successivamente a livello mondiale, di concerto con le organizzazioni non governative. E dal tavolo della discussione internazionale si dovrebbe quindi passare alle decisioni dei governi e delle organizzazioni sovranazionali. Più radicalmente, si dovrebbe riflettere sul fatto che alla globalizzazione della finanza e del crimine (che rimane la causa ormai non tanto nascosta e non tanto indiretta delle disuguaglianze, dei conflitti, e delle crisi anche umanitarie) non fa ancora da contrappeso una globalizzazione effettiva dei diritti umani che solo una governance mondiale potrebbe forse garantire.

La questione immigrazione non è, del resto, solo europea. Ad esempio, al confine messicano col Texas i problemi dei migranti sono più o meno gli stessi dei profughi africani e la scena non cambia di molto alle frontiere di tutti quei Paesi ricchi che rimangono circondati da aree in crisi: se non si tratta di attraversare un mare, rimane pur sempre un deserto da superare (e non solo quello fatto di sabbia).

luigi.capitano@gmail.com

 

 

 


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