Lo sbarco degli americani nella nostra Isola e le due stragi di Canicattì

Lo sbarco degli americani in Sicilia, avvenuto 70 anni fa, ed esattamente nel luglio del 1943, registrò due episodi che, per lunghi anni, sono stati ignorati un po’ da tutti, storici compresi. In pratica, due stragi avvenute a Canicattì, grosso centro della provincia di Agrigento. I fatti li ha raccontati Diego Lodato, su “Canicattì nuova”, nel settembre del 2003.

“Nel primo pomeriggio del 12 luglio 1943 – leggiamo nell’articolo – i carri armati americani comandati del capitano Norris H. Perkins, provenienti da Licata, giunti nei pressi di Canicattì, si erano fermati sulle alture di Carlino, Cuccavecchia e Rinazzi, da dove si distingueva nettamente la città, racchiusa nella valle, con gli edifici di vecchia pietra che apparivano come incuneati nelle rocce. Dietro i carri armati venivano avanzando cinquemila soldati della Compagnia H del 66° Reggimento Usa. La copertura aerea era completa”.

Perkins, nel 1989, allora già ufficiale in pensione, sarebbe tornato in Sicilia, a Canicattì per rivedere, a distanza di decenni, il paese nel quale ere entrato al comando di un nutrito gruppo di militari americani. “Our air – racconta il capitano Perkins – bombed Canicattì about 1 or 2 hours before we started the attack”, cioè “la nostra aviazione bombardò Canicattì per una o due ore prima che noi sferrassimo l’attacco”.

Quando Perkins, al comando dei suoi uomini, entra a Canicattì, i tedeschi battevano già in ritirata.

Fu in quel momento che l’ufficiale scorse un gruppo di abitanti del paese che esultava di felicità per l’arrivo dei militari americani. Questa scena avveniva, racconta Lodato, “davanti all’imbocco del ricovero antiaereo di Via Cap. Ippolito, quello ubicato poco più sotto l’attuale Odeon. Erano le ore sedici circa. Contro di essi i tedeschi aprirono il fuoco, facendone strage. Furono almeno sei i morti, tra i quali due giovani di diciotto e diciannove anni. Fu la prima strage nazista in terra italiana”.

Come per le tante stragi perpetrate dai militari di casa Savoia nel Sud d’Italia negli anni successivi alla ‘presunta’ unificazione italiana, anche di questa strage gli storici italiani non hanno mai parlato. Ne parla invece nel suo libro Norris H. Perkins. In un passo del volume, il cui titolo è: “North African Odyssey”, riportato dall’articoilo di Lodato, l’ufficiale delle truppe statunitensi scrive: “Indeed we learned later that when a hunch of civilians in Canicattì had cheered upon hearing the Americans were coming, they were gunned down by the Germans”. Vale a dire: “Invero noi abbiamo appreso più tardi che, quando un gruppo di civili a Canicattì si erano messi ad esultare nel sentire che gli americani stavano arrivando, essi furono raggiunti dal fuoco tedesco”.

Due giorni dopo, sempre a Canicattì, andrà in scena una seconda strage, questa volta per mano di un tenente colonnello americano. L’ufficiale si era insediato al Comune di Canicattì come capo dell’Amgot, cioè del Governo militare alleato. Il pomeriggio del 14 luglio 1943 si trovava nel suo ufficio, nel Municipio del paese. Da lui si presenta un uomo che, con atteggiamento piuttosto nervoso, chiede un intervento presso la Saponeria Narbone-Garilli di Viale Carlo Alberto. L’uomo spiega al militare che in quell’edificio era in corso un saccheggio.

“Il tenente colonnello – leggiamo sempre nell’articlo di Lodato – ordinò subito a un plotone di soldati di recarsi immediatamente sul posto, al comando di un tenente. Ma, quando essi erano già partiti, ci ripensò, e disse ai tre militari dell’Intelligence Services che erano con lui di seguirlo. Giunti alla Saponeria, videro che ne erano entrati tanti, tra cui anche donne e bambini, perché c’era nel muro una breccia provocata dai bombardamenti. I soldati del plotone ne stavano tenendo in stato di fermo da trenta a quaranta, secondo la testimonianza di chi ne fu testimone oculare. Erano, quindi, tutti fermi, quando il tenente colonnello ordinò al plotone di soldati e al loro comandante di sparare sui presenti, ma nessuno di loro osò ubbidire. Allora comandò ai tre militari dell’Intelligence di far fuoco loro. Ma anch’essi rimasero fermi, di ghiaccio. Va a loro onore l’aver disubbidito, con grave rischio personale, a un simile ordine superiore”.

A questo punto il tenente colonnello tirò fuori la sua pistola, una Colt automatica, calibro 45, e cominciò a sparare. Ed ecco cosa fece secondo il racconto del prof. Joseph S. Salemi della New York University, figlio di uno di quei militari dell’Intelligence che furono presenti alla strage: “He emptied one magazine, and then reloaded, emptying another, and then reloading again”, cioè “egli svuotò il primo caricatore, e poi ricaricò, ne svuotò un altro e quindi ricaricò di nuovo”.

Nella sua relazione tenuta il 15 aprile 1998 a New York all’Institute of C.U.N.Y. Graduate Center su An unreported atrocity at Canicattì, July 1943, il prof. Joseph S. Salemi riporta anche un particolare agghiacciante: “My father remembers, in particular, that one child of about twelve or thirteen years of age received a .45 round directly in the stomach. The child did not die at once, but cried out in the Sicilian dialect several times, C’haiu na bodda ntu stummachu! C’haiu na bodda ntu stummachu!”. Traduzione: “Mio padre ricorda, in particolare, che un bambino di circa dodici o tredici anni ricevette un colpo di rivoltella direttamente nello stomaco. Il bambino non morì subito, ma si mise a gridare più volte in dialetto siciliano che aveva una pallottola nello stomaco”.

Nell’articolo di Lodato si parla di ricerche effettuate per scoprire il nome del ragazzino deceduto. Ma dai documenti ufficiali non risulta nulla. “Nel registro dell’Ospedale Civile – leggiamo sempre enell’articolo di Lodato – viene fuori il nome di una scolaretta di undici anni, ricoverata proprio in quel giorno e spentasi il 20 successivo. Forse potrebbe essere questa la più piccola creatura, la vittima più innocente di quella strage del tenente colonnello dell’Amgot. Con questa bambina i morti della Saponeria Narbone-Garilli salirebbero a otto. Tra le vittime di cui si ha certezza il più giovane aveva ventidue anni ed era di professione contadino. Egli, ferito mortalmente, venne ricoverato nell’Ospedale “Barone Lombardo”, dove si spense l’indomani, 15 luglio, alle ore quattordici. Il più anziano ne aveva cinquanta ed era un venditore ambulante di frutta e verdura, molto noto a Canicattì”.

I tenente colonnello americano, nella relazione che inoltrò ai superiori, “alterò la realtà, riferendo che, mentre andava in giro con un plotone di soldati, aveva visto dei saccheggiatori alla Saponeria e aveva loro intimato di fermarsi, ma erano fuggiti, e lui allora aveva sparato, sicché: “Six men were killed. Some of those who escaped may have been wounded”, che vuol dire: “Sei uomini furono uccisi. Alcuni di quelli che fuggirono possono essere stati feriti”.

 

 


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