Sono passati quasi 30 anni dalla strage che cosa nostra provocò per uccidere rocco chinnici, il giudice istruttore di palermo, padre del pool antimafia. In quellattentato morirono anche due carabinieri e il portiere dello stabile di via pipitone federico. E, a distanza di tanti anni, cè ancora fumo che avvolge tanti aspetti di quellattentato.
Rocco Chinnici, il giallo di una strage 30 anni dopo
Sono passati quasi 30 anni dalla strage che Cosa nostra provocò per uccidere Rocco Chinnici, il giudice istruttore di Palermo, padre del pool antimafia. In quellattentato morirono anche due carabinieri e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico. E, a distanza di tanti anni, cè ancora fumo che avvolge tanti aspetti di quellattentato.
Uno dei tanti gialli che ancora tingono il ricordo di quellattentato viene fuori dal libro scritto a quattro mani dai giornalisti Fabio De Pasquale e Eleonora Iannelli per la casa editrice Castelvecchi. Si intitola Così non si può vivere. Rocco Chinnici: la storia mai raccontata del giudice che sfidò gli intoccabili e ha la prefazione di Pietro Grasso, ex capo della Procura di Palermo e della Direzione nazionale antimafia e, ora, presidente del Senato.
Testimonianze, nuovi documenti e risvolti inediti di quella che è definita una strage annunciata. Sono gli stessi figli, Caterina, Elvira e Giovanni Chinnici, dopo trentanni, che ne rivelano i retroscena: Papà fu lasciato solo, offerto ai suoi carnefici. Nel libro cè anche il diario del giudice, pubblicato per la prima volta in versione autografa. (a destra, Rocco Chinnici)
Il giallo che emerge dal libro è legato alla scomparsa e alla riapparizione, dopo 15 anni, del fascicolo sullinchiesta a carico del presidente della Corte d’Assise d’Appello di Messina, Giuseppe Recupero, che aveva emesso, nel 1988, la sentenza del terzo processo d’Appello agli autori della strage. Alcuni pentiti hanno raccontato, a suo tempo, che l’esito del processo, celebrato a Messina nel 1988, dopo due annullamenti della Cassazione, sarebbe stato aggiustato da Cosa nostra con il pagamento di 200 milioni di lire. Per arrivare all’assoluzione per insufficienza di prove di Michele e Salvatore Greco, indicati come i mandanti dell’attentato, la mafia avrebbe corrotto il magistrato.
La magistratura di Reggio Calabria, dove l’inchiesta era stata trasferita, si era dichiarata incompetente. Il fascicolo era quindi tornato a Palermo, ma se ne era persa ogni traccia. Ora è improvvisamente ricomparso a Palermo. Sembra che, nel trasferimento dal capoluogo calabrese a quello siciliano, il passaggio non era stato annotato nei registri del Palazzo di Giustizia di Palermo e il caso era stato quindi dimenticato, come un qualsiasi procedimento da giustizia civile.
Nessuno in questi anni ha più indagato sulla presunta corruzione di Recupero. A farlo tornare alla luce sono stati De Pasquale e la Iannelli, che stavano preparando un libro sulla strage Chinnici, ma la loro ricerca si era fermata perché il fascicolo non era stato più assegnato. Solo ora è stato ritrovato e riaperto dal procuratore aggiunto, Vittorio Teresi.
Piccolo, ma non insignificante particolare, che certo non contribuirà a ristabilire la verità di quanto accadde: il giudice Recupero è morto ormai da cinque anni.
Dietro l’autobomba che aprì la stagione delle stragi mafiose al tritolo, creando la duratura immagine di Palermo come Beirut, c’erano, come scrivono gli autori del libro, un patto scellerato tra mafia militare e potere politico-economico, ma anche una giustizia sonnolenta.
Il lavoro di Chinnici portò alla nascita di un pool che indagava ad ampio respiro sulla mafia e del quale facevano parte, tra gli altri, anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un gruppo di magistrati che doveva fare i conti con le ostilità di un ambiente saturo di veleni. Chinnici aveva rivoluzionato il metodo investigativo, scardinato le casseforti delle banche, per mettere il naso sui patrimoni sospetti. Stava per chiudere il cerchio attorno ai mandanti e agli esecutori dei delitti di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, per i quali pensava ci fosse ununica regia. La storia gli darà ragione. Il suo lavoro istruttorio confluirà infatti nel primo maxi processo alla mafia, iniziato dopo la sua morte e concluso nel 1987.
Il libro sarà presentato venerdì 21, giugno alle 18.00, nella Sala Gialla del Palazzo dei Normanni, a Palermo. Saranno presenti, insieme agli autori, il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone, Caterina e Giovanni Chinnici, Nino Di Matteo, Pietro Grasso, Alessandro Zardetto.