Ars e Governo dimenticano la formazione professionale

Dalla Sicilia è partito un messaggio forte per l’Italia: non tutti i lavoratori sono gli stessi. Un principio classista che pensavamo appartenesse a un passato remoto. Un retaggio ce pensavamo assente nella memoria delle generazioni mature. Invece no! Il Parlamento siciliano, su richiesta (o su imposizione?) del Governo regionale, nella sua unanime collegialità, ha statuito che esistono lavoratori meritevoli di attenzione e destinatari di provvidenze e altri che, invece, vanno abbandonati.

Guardiamo ai fatti. Agli atti di Sala d’Ercole. Se rileggiamo le parti della Finanziaria approvata qualche giorno fa dall’Ars, scopriamo ci sono categorie di lavoratori non riconosciuti tali e ‘colpevoli’ di esistere. Uomini e donne meritevoli solo dell’anonimato. Paradosso dei paradossi in una terra dove la politica fonda le proprie fortune sui precari e i raccomandati (clientelismo). Parliamo dei lavoratori della formazione professionale in Sicilia. Circa 8 mila e 500 persone abbandonate a se stesse.

Il Parlamento siciliano ha varato il Bilancio e la Finanziaria nella lunga notte del teatrino della politica tra il 30 aprile e il primo maggio senza avere mai citato la parola formazione professionale. Non era mai successo ed è accaduto. Un Parlamento che, seppur rinnovato e ringiovanito, ha mostrato la solita solfa con le proroghe dei contratti (Lsu degli Enti locali, Pip, Consorzi di Bonifica, Esa e via continuando); poi il volto affaristico con i 10 milioni i euro regalati all’Ast, un’operazione dove si intravede l’ombra di Confindustria Sicilia.

Lo stesso Parlamento dell’Isola che ha inscenato una novella tutta sicula e senza precedenti, fatta di decine di sub emendamenti a firma di singoli deputati col solo obiettivo di salvaguardare i “contributi a pioggia” della cosiddetta Tabella H. Un contenitore di enti, associazioni, fondazioni e quant’altro riconducibili a quasi tutta la deputazione di Sala d’Ercole.

Sono solo 25 i milioni elargiti per il 2013 con la Tabella H, pochi forse per accontentare la fame di clientelismo di tanti. Una modalità, questa del finanziamento diretto e a pié di lista, che era stata messa in discussione, quasi ferocemente, dallo stesso governatore nelle settimane precedenti al varo della manovra, perché considerata espressione della vecchia politica clientelare estranea al ‘Governo della rivoluzione’.

Tabella H messa fortemente in discussione dal Movimento 5 Stelle, ma senza produrre alcun effetto. Un mangia mangia che ha tenuto banco per oltre 2 ore in Aula con discussioni accese e sospensioni temporanee fino alla definitiva approvazione per la soddisfazione dei tanti amici dei politici e degli stessi politici. Una sorta di lasciapassare per il varo della manovra.

Un Governo e un Parlamento che si sono ritrovati non solo sulla Tabella H, ma anche nell’amplificare il fenomeno del precariato siciliano. Un Parlamento schiacciato dal potere incontrastato esercitato con spavalderia e prepotenza dal presidente Rosario Crocetta. Talmente spregiudicato dal minacciare – erano circa l’una del mattino del 30 aprile – la propria maggioranza di far saltare ogni accordo “politico” e farsi approvare dalla minoranza i documenti finanziari.

Cosa era successo di così grave da far andare su tutte le furie Crocetta?

Diversi parlamentari si erano permessi di intervenire in Aula per dissentire su determinate posizioni assunte dal Governo con emendamenti e sub emendamenti presentati durante la discussione generale della finanziaria. Atti e gesti che hanno fatto andare su tutte le furie l’ex sindaco di Gela che ha dovuto alzare la voce per far capire chi comandasse. Un Parlamento, quello della Sicilia a Statuto speciale (sulla carta), che ha mortificato il regolamento assembleare che ne detta tempi e funzionamento per livellarsi ai dettami del Governo.

Il presidente dell’assemblea regionale siciliana e gli 89 deputati hanno mostrato la faccia peggiore della Sicilia. Quella che, costretta dalla necessità di tagliare ogni tipologia di spesa superflua (ma quando, ma dove), trova l’unità “democratica” per stanziare fiumi di denaro ad enti, associazioni e soggetti legati, quasi certamente, a questo o a quel deputato. Un Parlamento che si è piegato, senza opporre alcuna resistenza, al processo di destabilizzazione del settore della formazione professionale attuato dal Governo regionale.

Per carità, qualche eccezione vi è stata. Qualche deputato della cosiddetta “opposizione” ha presentato, quasi in silenzio, il proprio Ordine del giorno per raccomandare al Governo “totalmente sordo” di garantire l’avvio della seconda annualità dell’Avviso 20/2011. Qualche deputato si è sentito in dovere di ricordarsi che esistono lavoratori in Sicilia che vantano il diritto al lavoro e all’affermazione secondo la propria professionalità, a farsi una famiglia e magari a mantenerla dignitosamente, pagando le tasse e contribuendo alla crescita della società.

Questi lavoratori sono circa 8 mila e cinquecento e sono figli di una politica perversa e clientelare che, non trovando più spazi per assunzioni facili o maggiori finanziamenti, ha gettato la spugna orientandosi altrove.

Una vergogna, uno scandalo senza precedenti, Un settore che non vale neanche tanto quanto quello dei Pip. Questi ultimi sanno fare valere le proprie ragioni e vivono la precarietà come un valore aggiunto per la salvaguardia del legittimo posto di lavoro. Che sia questo il nuovo modello al quale i colletti bianchi (la quasi totalità e composta da diplomati e laureati) della formazione professionale dovranno ispirarsi nei prossimi mesi? Cosa ne sarà della formazione professionale?

Non è facile a dirsi. Certamente spinge a riflettere. Anche le organizzazioni datoriali e dei lavoratori sono state delegittimate da un confronto con il Governo e il Parlamento dell’Isola che non c’è mai stato.

Il settore un tempo non troppo lontano faceva gola a tanti parlamentari. In diversi venivano eletti con i voti dei lavoratori del settore. Qualcuno, ancora oggi, deve le sue fortune elettorali alla formazione professionale.

Ai tempi della legge regionale n.24 del 6 marzo 1976 il settore era oggetto di lunghe ed estenuanti discussioni in Aula in sede di approvazione del Bilancio e della Finanziaria. Oggi tutto è cambiato. L’Autonomia siciliana è stata messa nel cassetto, il quadro normativo scardinato da scelte scellerate, la politica interessata alla difesa di interessi appartenenti a pochi.

Il paradosso è che la formazione professionale è stata avviata alla definitiva fase di implosione dalla volontà del Partito democratico, durante il Governo precedente, che ha ritenuto di perseguire precisi dettami politici. E’ lo stesso Pd che sta proseguendo il progetto di chiudere completamente un’esperienza durata oltre trent’anni per ridisegnare un nuovo modello formativo, un nuovo sistema di strumenti per il funzionamento del mercato del lavoro, una nuova osmosi scuola pubblica sistema formativo.

E’ presto per giudicare se l’approccio è stato corretto o devastante. E’ la politica che ha il dovere di fare le scelte, di farle per il bene della collettività. Non ci sentiamo di apprezzare quello che, ad oggi, il presidente Crocetta, l’assessore Nelli Scilabra (Istruzione e Formazione professionale) e la collega Ester Bonafede (Lavoro) hanno (non) fatto per la formazione professionale e per i circa 8 mila e cinquecento lavoratori.

Sicuramente un programma il Governo lo ha tracciato e lo custodisce nel cassetto in attesa del diktat romano. Una Sicilia colonizzata da Roma, consegnata nelle mani del Pd a fari spenti. Basti pensare che per evitare noie con la ‘Capitale’, il Parlamento siciliano ha stralciato i Piano Azione Coesione dai documenti contabili sottraendoli dal confronto parlamentare nel silenzio delle opposizioni. Chissà perché!

È chiaro che il governatore poteva farlo, trattandosi di risorse comunitarie e Piano redatto con decisione del dirigente generale dell’epoca, Ludovico Albert (tecnico di assoluta fiducia dei potenti dirigenti pi diessini romani e piemontesi).

Oggi la Sicilia della formazione professionale si è svegliata meno confusa e sgombra da incertezze. Monta sempre più la consapevolezza di aver intrapreso il percorso del non ritorno, quel vicolo cieco che simboleggia la chiusura del sistema formativo regionale. Donne e uomini, questi della formazione professionale, che maturano, giorno dopo giorno, la consapevolezza e per questo la delusione di appartenere a un sistema politico autoreferenziale, che gestisce i rapporti a senso unico. Lavoratori, quelli della formazione professionale, testimoni di un sistema democratico minato nelle fondamenta che inghiotte, da vero e proprio carnefice, la speranza di un futuro.

 


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