Ars e Governo: no alle consigliere di parità, sì alle clientele

Il Governo regionale, per una volta, stupisce tutti per la capacità di sintesi sul taglio della spesa nel settore della parità di genere e della discriminazione e sicurezza nei luoghi di lavoro. Peccato che si tratti di attività istituzionale prevista e disciplinata dalla legge (per gli amanti della precisione normativa, dal decreto legislativo n.196 del 23 maggio 2000, come modificato dal decreto legislativo n.198 dell’11 aprile 2006 e dal decreto legislativo n.5 del 25 gennaio 2010).

Un esecutivo che mostra i muscoli azzerando il compenso alla consigliera regionale di parità e alle nove consigliere provinciali, cancellando la spesa prevista dall’articolo 18 della legge regionale n.18 del 19 dicembre 1999. Quindi Governo e Ars riducono a zero la spesa per finalità istituzionali. Però mantengono consulenti, esperti e dirigenti esterni alla Pubblica amministrazione regionale che rispondono all’unica e sola legge del clientelismo politico.

In diversi articoli precedenti abbiamo denunciato, dalle pagine di questo giornale, l’inadeguatezza dell’esecutivo che si ostina a mantenere un esercito di dirigenti e consulenti esterni all’amministrazione regionale. Tutta gente raccomandata, pagata a peso d’oro e dalla dubbia necessità. Sul taglio alle consigliere di parità non esprimiamo contrarietà, ma i dubbi emergono in merito alle modalità con le quali l’esecutivo e l’Ars sono arrivati a questa determinazione.

Quello di Governo e Ars appare un atto di forza che mostra tutta la sua debolezza, perché assunto in assenza di concertazione con le organizzazioni sindacali (che designano una terna di nominativi all’assessore al Lavoro che provvede alla nomina con decreto) e nella certezza di non calpestare i piedi ad alcun potere politico. Un taglio praticato sull’onta di dati inesatti e parziali. Una forzatura che alimenterà, quasi certamente, il contenzioso tra consigliere di parità e Regione.

Poco fluido l’iter parlamentare del testo approvato nel pomeriggio che taglia la suddetta spesa. Dai lavori d’aula è emerso, infatti, che l’assessore, Ester Bonafede, ha presentato a Sala d’Ercole un emendamento contrario al testo condiviso tra maggioranza e opposizione ed esitato in Commissione legislativa Bilancio e Finanze. Emendamento che prevedeva la gratuità dell’incarico a partire dal 2014 e cioè a scadenza di mandato. A nulla è servita la proposta mediativa del vice Presidente della commissione Bilancio e Finanze, Vincenzo Vinciullo, che ha proposto una riscrittura del testo prevedendo un rimborso spese forfettario di 800 euro.

Alcune consigliere di parità, appresa la notizia direttamente dall’Aula, hanno contattato, stupite dell’accaduto, la nostra redazione per alcune precisazioni. Partendo dal cattivo gusto di qualche parlamentare che le ha definite “donzelle”, le consigliere di parità hanno preso le distanze dalle affermazioni considerate offensive per il ruolo istituzionale ricoperto. Le stesse hanno sottolineato l’arida assenza di buon gusto e l’insensibilità di diversi deputati sui temi della parità di genere che mirano alla garanzia contro le discriminazioni.

Secondo quanto riferitoci dalle consigliere di parità, non risponde a verità la dichiarazione resa, durante i lavori a Sala d’Ercole, dalla Bonafede circa un compenso netto che percepirebbero le 10 consigliere in Sicilia che si attesterebbe a 5 mila euro al mese netti per un totale complessivo di 600 mila euro l’anno. Non è così. Nulla di più falso, riferiscono, fornendoci i dati reali dei costi.

Dal racconto emergerebbe il disinteresse totale del Governo sulla funzione svolta dalle consigliere. Riferiscono, le consigliere di parità, che per cinque mesi sono stati sensibilizzati gli uffici, contattati assessori e portaborse, oltre che formulate diverse richieste formali di incontro, tutte senza alcun esito. Il solito atteggiamento, richiamato più volte dal nostro giornale, del Governo di Rosario Crocetta, che su molte cose decide di non decidere.

Un atteggiamento, quello del Governo, insensibile e menefreghista rispetto alla funzione istituzionale e al ruolo della citata figura. Sulla dichiarazione resa in Aula, riferiscono le consigliere di parità al nostro giornale, la Bonafede ha dimostrato approssimazione e parzialità. Forse serviva allarmare i novanta parlamentari regionali, in un clima precario e incerto che ha caratterizzato le sedute sul Bilancio e sulla Finanziaria fino ad oggi.

In un documento trasmesso alla nostra redazione dalle interessate, emerge che il compenso ad oggi è stato pari a 5.087,83 euro lorde, che con una trattenuta Irpef del 38 per cento, diventa netto in busta paga l’importo di 3.154,46 solo per cinque consigliere in sospensione dal lavoro, così come determinato dall’articolo 18 della legge regionale n.18 del 19 agosto 1999. Mentre per quattro consigliere non in sospensione dal lavoro l’importo è 2.543,91 euro al lordo che diventa 1.577,22 euro al netto in busta paga, dopo aver applicato la ritenuta Irpef sempre del 38 per cento. Per la consigliera regionale di parità la cifra è pari a 2.935,28 euro al lordo che diviene euro1.819,87 al netto in busta paga dopo aver detratto il 38 per cento previsto come ritenuta d’acconto Irpef.

Da questo dato emerge con chiarezza la parzialità e l’inesattezza dei dati forniti dall’assessore Bonafede ai parlamentari regionali nel corso della discussione in Aula dell’emendamento che ha tagliato l’indennità. Stupisce l’atteggiamento dell’assessore regionale al Territorio e Ambiente, Mariella Lo Bello (nella foto a destra), che proprio nella scorsa legislatura ha ricoperto l’incarico di consigliera di parità per la provincia di Caltanissetta, beneficiando in toto dell’indennità prevista che, per 233 giorni in più rispetto al quinquennio di nomina, ha ricevuto l’importo di 19.757,70 in regime di proroga nel 2009. Oggi, però, seppur presente in Aula, non ha mosso un dito per chiarire il ruolo istituzionale delle consigliere e proporre una soluzione mediativa. E’ possibile che questo incarico possa costituire il trampolino di lancio per una futura carriera politica? Chissà. Per l’assessore Lo Bello, indicata all’epoca dalla Cgil, se non è servito, male non ha fatto, visto il risultato odierno.

Vediamo cosa disponeva fino a questo pomeriggio la legge regionale.

Secondo quanto previsto dall’articolo 18 della legge regionale n.18/99, l’indennità delle consigliere provinciali è stato parificato al 75 per cento dell’indennità di carica ed il trattamento di missione previsto per gli assessori delle Province regionali con popolazione non inferiore a 500.000 abitanti. La stessa norma ha previsto per la consigliera regionale di parità l’indennità piena di carica ed il trattamento di missione previsto per gli assessori delle Province regionali con popolazione non inferiore a 500.000 abitanti. Da oggi tutto questo è stato azzerato e da subito le consigliere di parità dovranno perseguire gli obiettivi istituzionali nel territorio siciliano gratuitamente.

Una decisione che, ribadiamo, solca lo spirito della spending review. Ciò che, invece, non comprendiamo è che l’esercito dei dirigenti esterni a diversi zero impegnano montagne di euro per incarichi che non sempre rispecchiano finalità istituzionali ma, semmai, rispondono a precise logiche di spartizioni politiche sulle quali il Governo Crocetta non si è sottratto.

Ma di cosa si occupa la consigliera di parità? Si tratta di una figura istituzionale che opera in nome e per conto dell’amministrazione pubblica. La materia è disciplinata, come dicevamo, dal decreto legislativo n.198 dell’11 aprile 2006 che ne individua funzioni e competenze. Di seguito elenchiamo le materie oggetto d’attività secondo quanto previsto dal primo comma dell’articolo 15 del decreto Legislativo 11 aprile 2006, n. 198.

“Le consigliere di parità intraprendono ogni utile iniziativa, nell’ambito delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunità per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:

a) rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni;

b) promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l’individuazione delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo;

c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunità;

d) sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunità;

e) promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;

f) collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;

g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazioni;

h) verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46 del decreto;

i) collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parità degli enti locali.

 


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