Quando la letteratura diventa filtro della realtà

«La mia fantasia ricorrente è che alla Carta dei Diritti dell’Uomo venga aggiunta la voce: diritto all’immaginazione. […] Per vivere una vita vera, completa, bisogna avere la possibilità di dar forma ed espressione ai propri mondi privati, ai propri sogni, pensieri e desideri».
Sono parole di Azar Nafisi, autrice del libro che è stato al centro del secondo incontro del Circolo di Lettura organizzato dalla Facoltà di Lingue: “Leggere Lolita a Teheran” (Adelphi, 2003). A parlare del romanzo, nel suggestivo scenario della Cappella Bonajuto, gremita per l’occorrenza da un variegato gruppo di lettori-uditori, sono intervenuti Antonio Pioletti e Michele Bernardini, professore associato di Lingua e Letteratura persiana all’Università di Napoli. Tra un commento e l’altro sono stati letti, dalle attrici della Scuola d’Arte Drammatica “Umberto Spadaro”, alcuni frammenti del romanzo.

“Leggere Lolita a Teheran”, scritto dalla Nafisi dopo il suo abbandono dell’Iran per trasferirsi definitivamente in America e diventato un vero e proprio caso letterario, è basato su esperienze reali di un gruppo di giovani donne iraniane dopo la rivoluzione di Khomeini.

Tutto ebbe inizio nel 1995, quando l’autrice del romanzo, che attualmente insegna alla Johns Hopkins University di Washington, fu espulsa dall’Università di Teheran dove insegnava letteratura angloamericana. Motivazione? Aveva rifiutato di portare il velo. Una donna moderna e ribelle, dunque, che con coraggio rifiutò di farsi “ingabbiare” in un sistema che non approvava perché non teneva in considerazione la persona e la libertà di ogni essere umano, specialmente di sesso femminile. 

Da qui la voglia e l’idea di dar voce alle donne, di restituir loro la libertà di espressione e, soprattutto, di immaginazione, anche solo per qualche ora la settimana, visto che all’esterno grigiore e proibizioni rimanevano. Decise quindi di organizzare nel salotto di casa sua un gruppo di lettura con sette delle sue migliori allieve. Per due anni, il giovedì mattina (non a caso anche il nostro circolo di lettura si riunisce il giovedì), diventò per le otto donne un momento di fuga dal mondo esterno, il giorno in cui poter togliere il velo dal proprio volto e dalla propria anima e dar voce ai sogni irrealizzati, ai desideri inespressi e guardare il mondo attraverso l’occhio magico della letteratura. 

Nafisi vede le ragazze entrare nel suo salotto, «togliersi il velo e la veste e diventare di botto a colori». Liberate dall’atmosfera oppressiva dell’aula universitaria, maestra e allieve riscoprono i capolavori della letteratura occidentale: dalla “Lolita” di Nabokov, che assurge a simbolo della lotta della donna dall’asservimento e dall’oppressione messi in atto dopo la Rivoluzione Islamica dagli Ayatollah, al “Gatsby” di Fitzgerald, da Henry James a Jane Austen; e ad ognuno di questi scrittori è dedicato uno dei quattro capitoli del libro. 

Un metaromanzo, quindi, come sottolinea nel suo intervento Pioletti: un romanzo autobiografico in cui si parla di altri romanzi che fanno da filo conduttore alla vita di queste giovani donne iraniane che pian piano, attraverso la letteratura, acquistano una propria dimensione, un proprio sé, diventando veramente padroni di sé stesse, della propria anima e dei propri corpi, fino ad allora oppressi e violati.

E noi ci siamo sentiti un po’ come quelle studentesse, tutti riuniti attorno alla lettura di un libro. Ma “Leggere Lolita a Teheran” non è un libro come tanti: è un libro che va inalato, vissuto, sentito con tutto il corpo. Un libro in cui l’occhio non è solo l’occhio che legge ma è l’occhio che sente, che respira, che vive la realtà di quelle donne con loro. Un libro che ci fa capire ancor di più quanto sia importante la letteratura per sviluppare uno spirito critico nei confronti del mondo esterno, perché, come scrive Azar Nafisi: «Ciò che cerchiamo nella letteratura non é la realtà, ma una epifania della verità».

La letteratura, dunque, viene vista come uno strumento per imparare a difendersi dalla tentazione di vedere il mondo solo in bianco e nero, senza sfumature, e dunque come difesa dall’intolleranza e dal fanatismo, nonché come strumento di rivendicazione dell’importanza dell’immaginazione e dei sogni di cui nessuno dovrebbe essere privato. Mai.


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