Elezioni in Sicilia, buttare giù il Muro del clientelismo

di Gaetano Flores

Ladri di speranza. Come chiamare altrimenti la classe politica siciliana che ha governato l’Isola nell’ultimo ventennio? Ricchezze gigantesche usate per aumentare i vitalizi, pagare i clienti e gli amici. Nulla o quasi per aiutare il tessuto produttivo, per diminuire le differenze, per restituire ai cittadini il regalo migliore che chi governa, come chi ci ama, possa fare: lasciar intravedere un futuro migliore, possibile, raggiungibile.

Invece bisogna assistere alla fiera dei privilegi. I privilegi minimali delle lunghissime liste di precari, in ogni settore, anime prigioniere, ricattate, minacciate. Costrette a riconoscere al proprio benefattore la ricompensa dell’unica merce che realmente vogliono: il voto.

Quindi i privilegi smodati, faraonici, spocchiosi, della ristretta cerchia degli amici del potere. E allora consulenze, incarichi, doppi, tripli. E concessioni e corsie privilegiate. Mentre la piccola imprenditoria langue e muore. Mentre il turismo è offeso da una sistemica incuria del territorio che fa scappare i visitatori, nei palazzi dorati si progettano alleanze. Non uno dei bubboni che uccidono questa terra è affrontato, ma i muri sono pieni delle vuote promesse di uomini che non possono ascrivere a se stessi nessun impiego produttivo delle risorse. (sopra, il Muro di Berlino, foto tratta da forumlive.net: la Germania se n’è liberata, la Sicilia si deve ancora liberare dal muro del clientelismo)  

Quando osserviamo i Paesi africani chiedendoci come sia possibile che territori così ricchi abbiano uomini e donne in miseria possiamo guardare alla Sicilia. Un grande patrimonio archeologico e monumentale, un clima incantevole,a fronte di un turismo che non è mai decollato: basti che le presenze turistiche in Sicilia raggiungono a mala pena la metà di quelle della sola sola Venezia.

Libero Grassi diceva che una cattiva raccolta del consenso produce cattivi amministratori. E il consenso, dalle nostre parti, deve essere raccolto molto male, se è vero che i Comuni sono spesso rigonfi di personale, fornendo servizi azzerati. Poi strade sporche, monumenti abbandonati, il verde lasciato nell’incuria, trasporti carenti, mobilità convulsa, sostegno agli ultimi concesso solo a chi si sottomette.

L’Est d’Eurupa devastato dal collettivismo comunista, a venti anni dalla caduta del Muro, si presenta con le carte in regola per competere con le più belle città europee. La Sicilia, ma anche la Campania o la Calabria registrano lo stesso gap con il Nord di cento anni fa.

Forse alla Sicilia serve una rottura della trita continuità con il passato. Uomini e donne coraggiosi che lavorino per il bene comune. Governanti che si spoglino dei privilegi feudali e lavorino per rimettere la Sicilia al passo delle migliori regioni italiane. E restituiscano quanto hanno confiscato a molte generazioni del passato e, soprattutto, a quelle future: la speranza.


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