Il Sud tradito dall’unità d’Italia

“Per liquidare un popolo si comincia con il privarlo della memoria.
                                                                                                                Si distruggono i suoi libri, la sua cultura e la sua storia.
                                E qualcun altro scrive altri libri, lo fornisce di un’altra cultura e inventa un’altra storia”.

                                                                                                                                                                                                               Milan Kundera

 

Di recente il Prof. Salvatore Lupo, emerito docente di storia contemporanea all’Università di Palermo, in un’intervista rilasciata ad Edoardo Petti su Linkiesta affermava che contro il Risorgimento è oggi in atto un revisionismo spicciolo. L’occasione, per il docente, di prendere di petto quegli storici, a suo dire pseudo-tali ed improvvisati, che osano mettere in discussione quelle verità della vulgata risorgimentale di cui lui è portatore: verità che per 151 anni ci sono state ammannite dalla storiografia ufficiale e cattedratica.

Il professore Lupo, andando a ruota libera, afferma che costoro, afflitti da frustrazioni strumentali, superficiali e romanzesche, con in testa Pino Aprile, non fanno altro che mescolare alla rinfusa fatti accertati con eventi immaginari, liquidandoli alla fine come affetti da neo o filo borbonismo. Qualcuno dovrebbe spiegare al Professore Lupo che il revisionismo storico è una cosa seria è va affrontato, così come hanno fatto coloro che lui definisce revisionisti spiccioli, con rigore scientifico e capacità documentale e, soprattutto, con serenità di giudizio che a lui manca, sentendosi in assoluto il depositario della verità. (a sinistra, foto tratta da psicocafe.blogosfere.it)

Questi revisionisti spiccioli, piaccia o no al professore Lupo, sono i continuatori e gli eredi di quei revisionisti storici ed economisti della storia risorgimentale italiani e stranieri, di cui avrà sentito parlare e che rispondono ai nomi di Carlo Alianello, Michele Topa, Nicola Zitara, Gigi Di Fiore, Denis Mack Smith, Cristofer Duggan, Martin Clark, Lucy Riall, Tommaso Pedio, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, Giustino Fortunato, Napoleone Colajanni, Indro Montanelli, Paolo Mieli e molti altri che sicuramente, salvo che il professore Lupo non è in grado di dimostrare il contrario, filo borboni sicuramente non erano.

Tutti costoro, con sfumature più o meno marcate nelle loro opere e nei loro scritti storici ed economici, hanno inteso dimostrare che le vicende che portarono all’Unità d’Italia si realizzarono essenzialmente con spoliazioni, predazioni e con un progressivo impoverimento sulla pelle delle genti del Sud. Popolazioni meridionali, non propriamente liberate, ma bensì conquistate, colonizzate e “civilizzate” e ancor più disprezzate come razza inferiore dagli stessi conquistatori prima e dalla teorizzazione razzista della scuola positivista del Lombroso e dei suoi discepoli poi.

Ripercorrere la storia, da parte di questi revisionisti spiccioli, così come li definisce con iattanza Lupo, e ribadire con documenti inconfutabili – e ce ne sono ad iosa e per niente marginali – attingendo alle fonti e agli scritti dei succitati e autorevoli studiosi revisionisti del risorgimento, che Garibaldi non era un eroe più di quanto lo si è dipinto sinora, che la spedizione dei Mille, favorita dalle corruzioni, dalla mafia, dalla camorra e dalla massoneria fu una grande mistificazione storica, che Vittorio Emanuele II (e con lui tutta la stirpe dei Savoia) non fu affatto il re galantuomo, tanto enfaticamente riportato sui libri di scuola e che i piemontesi non furono affatto i liberatori, ma senza pietà con i vari Bixio, Cialdini, Covone, Pallavicini, La Marmora e Cadorna e tanti altri conquistatori e protagonisti di eccidi e di sopraffazioni nei confronti delle genti e delle popolazioni del Sud, è atto meritorio e di giustizia ed un omaggio a quelle verità storiche scomode che per troppi anni gli storici di regime – e di questi il prof Lupo è un autorevole rappresentante – ci hanno secretato. (sopra, a destra, foto tratta da beppegrillo.it) 

E’ ora di finirla con la disinformazia, per usare un appropriato termine mutuato dal russo, con la sistematica manipolazione della storia perpetrata da questi storici e che ha portato ad un annichilimento storico- culturale, da 151 anni a questa parte, di intere generazioni di italiani .

Ben vengano, a questo punto, con buona pace del prof. Lupo, questi deprecati revisionisti spiccioli che in questi ultimi tempi hanno contribuito a squarciare il velo su verità scomode per troppo tempo ipocritamente nascoste.

Ed infine, per amore di verità, è doveroso fare delle opportune precisazioni sulle generiche considerazioni contenute nell’intervista rilasciata dal prof Lupo a proposito della lotta al brigantaggio e sulle condizioni di arretratezza della Sicilia prima dell’Unità d’Italia. (a sinistra, una metafora dell’Impresa dei Mille come ancora oggi viene raccontata nelle scuole italiane: foto tratta da donnacharme.com) 

Lupo sostiene che parlare di genocidio e di sterminio è inesatto, perché fornire cifre fantasiose e abnormi non corrisponde alla ricerca storica. Lupo sa benissimo, perché questo si è riportato esattamente sui libri di scuola, che per reprimere il brigantaggio meridionale furono impiegate nel Sud truppe per un totale di 120 uomini a fronte di più di 80 mila insorgenti e che questa guerra civile costò, in termini di repressione, tante più vittime di tutte le guerre del Risorgimento messe assieme. Per non parlare poi della sanguinosa repressione operata dal generale Raffaele Cadorna della rivolta palermitana nel settembre del 1866, detta del “Sette e mezzo” (durò infatti sette giorni e mezzo) in cui si scontrarono 40 mila soldati regi contro 35 mila rivoltosi palermitani e dove le migliaia di morti, per le strade di Palermo, non si riuscirono più a contare.

Se non sono massacri e genocidi questi, beh, giudichi lui E poi l’ostinazione con cui nell’intervista continua a infamare ed a marchiare con il termine “briganti” coloro che, ed in primo luogo i contadini, combatterono per la libertà della loro terra, è ancor più degna di miglior causa. A tal proposito val bene ricordare quanto scrisse il “revisionista filo borbonico” Antonio Gramsci a proposito del brigantaggio: “Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale, squartando, fucilando e seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare con il marchio di briganti”. E ancora più avanti, ancora a proposito del brigantaggio post-unitario, Carlo Levi, altro impenitente neo-borbonico, nel suo libro ‘Cristo si è fermato ad Eboli’ così scriveva: “Il brigantaggio non fu altro che un eccesso di eroica follia, un desiderio di morte e di distruzione, senza speranza di vittoria in cui la civiltà contadina meridionale difese la propria natura e la propria identità contro quell’altra civiltà che le stava contro e che, senza comprenderla, eternamente l’assoggettava”. (a destra, lo storico revisionista e filo-borbonico, Antonio Gramsci… foto tratta da sinistrasegidio.altervista.org) 

In buona sostanza un fenomeno composito di lotta di classe e conflitto di civiltà diverse, altroché brigantaggio legittimista tanto sbandierato nell’intervista dal prof. Lupo!

E, per ultimo, le condizioni di arretratezza della Sicilia prima dell’Unità d’Italia e dei benefici che alla stessa ne vennero ad unificazione avvenuta fa parte della disinformazia portata avanti con scientifica perseveranza nel corso della stessa intervista dell’illustre cattedratico.

È ormai ricorrente, da parte di una prevalente pubblicistica che ha avviato da tempo un’attenta e illuminata revisione storica, l’opinione che, prima dello sbarco dei Mille, nel Regno delle due Sicilie nel suo complesso ed anche in Sicilia era in atto un vero e proprio miracolo economico.

La Sicilia, alla condizione di regione depressa, al contrario da quanto sostiene Lupo, venne condannata non prima ma dopo l’arrivo di Garibaldi. La favola di una Sicilia e del Sud irrimediabilmente negati a ogni forma di sviluppo industriale, faceva parte di un alibi tendente, successivamente, a giustificare una politica di asservimento del Mezzogiorno all’esclusivo ruolo di mercato e sbocco dei consumi dei prodotti agricoli e industriali del Nord.

Ancora prima dell’Unità, fioriva nelle due maggiori città dell’Isola, Palermo e Catania, l’industria della seta esportata con successo, per la qualità dei suoi prodotti, nei mercati europei e mediterranei. L’industria del tabacco produceva migliaia di tonnellate di manufatti all’anno, occupando tra operai e indotto, diverse migliaia di unità lavorative. Fiorenti, a quei tempi, erano anche le attività cantieristiche, navali, metalmeccaniche, chimiche, della lavorazione del cotone e del lino, l’industria conserviera, la produzione e la commercializzazione dei vini e l’estrazione e la lavorazione dello zolfo (il petrolio di quei tempi), quest’ultima la più importante e ricca d’Europa. (a sinstra, un altro storico revisionista e filo-borbonico, tale Gaetano Salvemini… foto tratta da abeonaforum.wordpress.com)

Vero fiore all’occhiello, poi, dell’economia isolana era la flotta mercantile con la compagnia Florio che gareggiava con le principali marinerie del Mediterraneo. Nel decennio che va dal 1850 al 1860 era stato varato, dal punto di vista amministrativo, un notevole numero di provvedimenti a salvaguardia dell’economia isolana, di innegabile portata. Fu costituito un debito pubblico con un immediato risveglio nel movimento dei capitali. Fu creato il Banco Autonomo di Sicilia, due casse di sconto e numerose Casse di risparmio. Costituita la redimibilità dei censi degli enti morali, ripristinato il libero cabotaggio tra l’Isola e il continente e istituito il fido doganale. Istituito il portofranco di Messina, riorganizzato e aggiornato il catasto fondiario e creato ex novo il genio civile.

Con l’Unità d’Italia di tutto questo non rimase più nulla, il nascente sistema industriale e le risorse del Sud furono progressivamente smantellate e trasferite al Nord. E fu appunto allora che con l’Unità d’Italia sorse “La questione meridionale”. E’ impossibile che di tutto questo il prof. Lupo non sia mai stato informato. A tal proposito, per maggiori informazioni, provi a leggere di Edmondo Capocelatro e Antonio Carlo, due insigni scrittori d’economia che nel loro libro “La questione meridionale – Studio sulle origini dello sviluppo capitalistico in Italia”, edizioni la Nuova Sinistra del 1972 , testualmente sostengono tra l’altro: “Anche dal punto di vista sociologico politico l’arretratezza e l’ottusità della borghesia meridionale è una colossale invenzione e mistificazione storica. Resta perciò da chiarire perché pur non essendo questa borghesia inferiore a quella del Nord per forza economica e lungimiranza politica, essa venisse praticamente distrutta o quanto meno soggiogata”.

Le cause del sottosviluppo del Sud e della Sicilia che, al momento dell’Unità, non era inferiore al Nord, a detta dei due scrittori e a differenza di quanto sostiene Lupo, sono da individuare nell’azione dello Stato unitario dominato dalla borghesia settentrionale, attraverso il soffocamento della nascente industria meridionale, la legge sul corso forzoso e il protezionismo che si concluse con la definitiva subordinazione e la integrazione dell’economia meridionale nello sviluppo capitalistico del triangolo industriale del nuovo stato unitario.

E per concludere, a proposito val bene ricordare quello che scrisse, in dissonanza con quanto sostiene Lupo, l’illustre economista meridionale Giustino Fortunato: “L’unità d’Italia è stata la nostra rovina economica. Noi eravamo, nel 1860, in floridissime condizioni per un risveglio economico sano e profittevole. L’Unità ci ha perduti. E come se questo non bastasse, è provato, contrariamente alla opinione di tutti, che lo stato italiano profonde i suoi benefici finanziari nelle province settentrionali in misura ben maggiore che in quelle meridionali”.

C’è d’augurarsi che di tutto questo alla fine il prof. Lupo ne prenda atto e se ne faccia una ragione e che nelle prossime interviste sia quantomeno più attento e rispettoso nei confronti dei revisionisti spiccioli. (a destra, ancora uno storico revisionista e filo-borbonico, soprattutto sconosciuto ai meridionalisti, Giustino Fortunato: foto tratta da it.wikipedia.org)

Diceva Milan Kundera: “Per liquidare un popolo si comincia con il privarlo della memoria. Si distruggono i suoi libri, la sua cultura e la sua storia. E qualcun altro scrive altri libri, lo fornisce di un’altra cultura e inventa un’altra storia”.

E questo se non si corre ai ripari è il danno irreparabile che può produrre la disinformazia del professore Lupo.

Ignazio Coppola – Palermo- (giornalista pubblicista “revisionista spicciolo” e autore del libro
Risorgimento e risarcimento)
coppolaignazio@libero.it

 

 


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