Palermo 1983, all’università nella città di Lima e Ciancimino…

da Salvatore Petrotto
ex sindaco di Racalmuto
riceviamo e volentieri pubblichiamo

All’approssimarsi della primavera del 1992 uscì fuori il mio nome, quale candidato alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Nazionale, tra le fila della RETE di Leoluca Orlando. Dopo qualche mese prendevo servizio quale insegnante di ruolo, presso l’Istituto Professionale per l’Industria di Licata, città natale di Rosa Balistreri, la celebre ed indimenticabile cantante folk, considerata la voce della Sicilia.

Ricordo che mi avevano scaraventato dentro dei locali pericolanti e dei grezzi garage, privi di servizi igienici e prospicienti una trafficatissima strada, attraversata da grossi camion che riempivano di rumore e smog quegli ambienti che qualcuno chiamava aule scolastiche!

Io, da insegnante di Italiano e Storia, in prova, mi rifiutai di fare lezione in quelle disastrose condizioni e, complice il bel tempo, andavo con i ragazzi a svolgere le normali attività didattiche all’aperto, in una vicina villetta.

Un giorno il direttore della scuola mi intimò di rientrare dentro a quei locali che egli si ostinava a chiamare classi; pena la perdita del mio posto di lavoro! Io per nulla intimorito, non mi arresi.

Chiamai l’ufficiale sanitario e feci fare un accurato sopralluogo che, come era giusto che fosse, portò alla chiusura di quelle strutture. Poi fummo costretti, alunni ed insegnanti, a fare i doppi turni negli unici locali adeguati che ospitavano alcune classi.

Scoprii che quella insopportabile situazione perdurava da oltre trent’anni, pur avendo la Scuola e quindi la Provincia Regionale di Agrigento a disposizione un’intera struttura mai completata; il tutto per favorire l’affitto di quei garage.

Qualcuno pensò bene di maledirmi, qualche altro, però, mi riferisco alla comunità di Licata, a distanza di tempo, ricordando quell’episodio, mi ringraziò.

Eh sì, perché grazie a quell’ulteriore disagio causato dalla totale mancanze di locali, la Provincia di Agrigento fu costretta a ristrutturare e rendere agibile un’ala della scuola abbandonata da decenni. L’Istituto Professionale di Licata, grazie ai nuovi locali, ha quadruplicato le iscrizioni degli studenti ed è diventata uno dei fiori all’occhiello della città di Licata.

Ho voluto raccontare questi fatti perché, in quel 1992, coinvolto anche molto emotivamente dalla Rete di Orlando, ero preso da indicibili furori civili e politici, con alle spalle qualche altra battaglia vincente condotta, in splendida solitudine, negli anni Ottanta, a Palermo, per migliorare le condizioni di vita degli studenti universitari fuori sede.

Anche in quel caso, in un contesto di mafia, le varie rappresentanze universitarie non riuscivano ad incidere più di tanto, figlie di un Sessantotto ormai lontano. Tant’è che venivano offerti, con una spesa pubblica di dieci miliardi l’anno di vecchie lire, degli alloggi fatiscenti e privi dei più elementari servizi, per favorire degli scandalosi affitti, come ad esempio quello di un vecchio postribolo, qual era l’hotel Flora, a Borgo Vecchio.

Salvo a scoprire che alcuni di quegli immobili, presi in affitto dall’Opera Universitaria, per metterli a disposizione degli studenti, erano di proprietà di Don Vito Ciancimino (nella foto a sinistra tratta da Wikipedia) e di alcuni suoi amici.

Siamo nella prima metà degli anni Ottanta, terribilmente distratti dagli omicidi e dalle stragi eccellenti. Ero poco più di una matricola universitaria quando il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fu, in fretta e furia, fatto fuori, dopo solo cento giorni da Prefetto. Palermo sembrava veramente irredimibile!

Cercai, nel mio piccolo di partire dalla scuola, dall’Università. Soprattutto quando mi accorsi, a mie spese, di alcuni imbrogli. Mi assegnarono il primo alloggio universitario, all’interno di una locanda di via Roma, gestita da un greco che si chiamava Nick Fakundos; ogni sera ero costretto a cercare il mio letto ed i miei indumenti; si trattava di una sorta di alloggio mobile. Il buon Fakundos infatti, ogni sera mi cambiava posto per offrire ospitalità, a pagamento ovviamente, ad altri clienti. Non oso discutere di acqua calda per lavarsi o di riscaldamenti, chiaramente inesistenti.

Nel corso del mio secondo anno di vita universitaria mi sballottarono a Borgo Vecchio, di fronte alla ‘Palazzata’, ossia l’Istituto Autonomo Case Popolari. Al mercatino, ogni tanto cadeva qualcuno sotto qualche sventagliata di colpi di arma da fuoco, sotto gli occhi miopi di tanta gente che per salvaguardare la propria vita si faceva li fatti sò.

I soldati americani che scendevano dalle navi, nel vicino porto, a volte ci venivano a trovare, con tanto di indicazione scritta, pensando che noi eravamo i clienti o le ospiti, se si trattava di studentesse, di un bordello!

E insistevano! Forse perché qualcuno, magari qualche loro parente, nel ’43, subito dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel bel mezzo della tragedia bellica, aveva trascorso qualche lieto e sollazzante momento felice, dentro a quell’hotel che era stato, per l’appunto, un collaudato (possibilmente da qualche loro nonno) bordello!

Quando mi interessai della faccenda degli affitti miliardari dell’Università palermitana, scoprii che si trattava, anche in questo caso, di una sorta di bordello di natura affaristico -mafiosa, messo in piedi per fregare gli studenti come me. Chiesi un colloquio al direttore responsabile della gestione dell’Opera Universitaria di Palermo, dottor Pecoraro e lo ottenni.

Nel corso della conversazione tentai di spiegargli che le case messe a disposizione degli studenti erano inabitabili e che erano gestite dalla mafia. Pecoraro cadde dalle nuvole! E però appena gli dissi che ne avevo parlato con qualche giornalista, si affrettò a dirmi che se si trattava del Giornale di Sicilia, non c’era problema, perché sarebbe stato in grado di ostacolare la pubblicazione dei servizi giornalistici riguardanti l’affaire alloggi universitari.

Quando gli dissi che i giornalisti con i quali avevo parlato lavoravano presso il mitico Giornale L’Ora (nella foto sotto tratta da giuseppedisalvo.blog.tiscali.it) di Palermo, il mio interlocutore sbiancò in volto e si mostrò visibilmente preoccupato! Infatti avevo raccontato il tutto alla giornalista de L’Ora di Palermo, Sandra Rizza.

Qualche giorno dopo fu pubblicato un reportage sulla gestione dei fondi destinati per gli studenti universitari; allora, lo ribadisco, si trattava di dieci miliardi di vecchie lire ogni anno che, ad occhio e croce, tra svalutazione e raffronto con l’euro, penso che corrispondo ad alcune decine di milioni di euro attuali.

Titolo dei servizi a tutta pagina: Il Dottor Pecoraro all’Opera Universitaria ed all’Opera in Tutti i Sensi.

Siamo nel 1983, quando io tapezzai i muri delle mense, dei pensionati e delle facoltà universitarie con le copie di quel reportage a firma di Sandra Rizza, sullo scandalo che si consumava, sino ad allora nel più completo e totale silenzio, nell’Ateneo palermitano.

Qualche giorno dopo, il dottor Pecoraro mi rintracciò dicendomi che ci teneva ad incontrarmi. Ci siamo rivisti e dalla protesta subito passai alla proposta. Gli dissi, intanto, che con dieci miliardi di vecchie lire l’anno potevano costruire decine di migliaia di alloggi per studenti. Ma se proprio, per i tempi o per delle cattive volontà tese a favorire i soliti affitti di comodo, non erano in grado di costruire nuovi alloggi, potevano benissimo seguire una terza via. Bastava dare direttamente un contributo alloggio agli studenti che ne avevano diritto, per evitare di ingrassare una manica di lestofanti proprietari e gestori di immobili inadeguati e/o fatiscenti, impropriamente e scandalosamente presi in affitto dall’Opera Universitaria.

E così fu! Dall’anno successivo in poi venne puntualmente pubblicato, a firma del dottor Pecoraro, un bando pubblico per l’assegnazione dei contributi alloggio destinati per gli studenti universitari fuori sede. Potere della stampa od ancora: E’ la stampa bellezza!

So che anche Giulio Ambrosetti, direttore di link Sicilia, a quei tempi lavorava presso il giornale L’Ora, assieme a Sandra Rizza. Forse così si spiega che cosa vuol dire giornalismo.

C’è chi ci crede, c’è chi è servo del potere e privilegia l’antico motto latino primum vivere, ossia la pancia innanzitutto!

Io credo che Sandra Rizza sia una delle più insigni protagoniste e reduci di un memorabile periodo, in cui resistere alle lusinghe del potere e della mafia per molti risultava assai difficile!

Tant’è che ancora oggi si parla dell’epopea de L’Ora e del riscatto di Palermo e della Sicilia che parte dalle macerie e dai massacri documentati e contrastati grazie al coraggio di veri giornalisti che operavano a Palermo ed in Sicilia, in quei terribili anni, in una sorta di teatro di guerra!

E l’ora di Palermo crediamo che sia ancora una volta scoccata, se ci riferiamo alle ultime vicende politiche. Ognuno deve continuare a fare la sua parte. Anch’io nel mio piccolo ci ho provato, pagandone anche, recentemente, delle terribili conseguenze, combattendo contro dei falsi moralizzatori ed antimafiosi di professione che fanno affari sporchi, da me denunciati alla Procura della Repubblica di Agrigento, con i rifiuti e l’acqua.

Dalla Primavera di Palermo, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, passando per Capaci e via D’Amelio, ce la siamo vista brutta! Ricordo ancora il primo dei tre appuntamenti col sangue e le stragi, quando giravamo con la croma blindata, assieme a Luca Orlando, nel corso di quella campagna elettorale del 1992; i miei timpani venivano messi a dura prova nel corso dei comizi.

Ripetevamo che bisogna svuotare i cassetti dei Giudici ed indagare sui grandi appalti. Oggi il Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, ma anche la Procura di Caltanissetta, credo che stanno tentando di ricostruire alcuni passaggi oscuri, rispetto a quel famoso terzo livello di buscettiana memoria!

A marzo del 1992, a Mondello, cade Salvo Lima, compagno di partito di Don Vito Ciancimino e referente politico di Giulio Andreotti in Sicilia. Abbiamo capito subito che le sentenze ed i processi avevano sortito il primo grande effetto: erano saltate le coperture politico-mafiose.

A maggio ed a luglio è toccato a chi ha fatto saltare quelle coperture, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Prima delegittimati e poi uccisi. Chi non ricorda, ad esempio, la storia dell’attentato all’Addaura, presso la villa presa in affitto da Giovanni Falcone? Dissero che se l’era procurato lo stesso Falcone!

Anch’io ho subito qualcosa del genere; e vi giuro che è assai cocente e terribile subire attentati e poi sentirsi dire che te li sei fatto tu! Eppure la scomparsa dell’agenda di Paolo Borsellino, la mancata perquisizione della casa-covo di Totò Riina… Quante verità dovrebbero confessare, senza dietrologia alcuna, alcuni grandi protagonisti della scena politica italiana e non solo, degli ultimi decenni?

Tra gli anni Ottanta e Novanta eravamo lì, tra L’Ora di Palermo, La Rete, Leoluca Orlando e le lotte antimafia; quelle vere, non quelle di qualche nostrano intellettuale e scrittore caduto recentemente, in mezzo agli sporchi business dei rifiuti e dell’acqua. Ricominciamo: io non posso restare seduto in disparte, e poi non provare un brivido dentro… e gridare giustizia e verità!

Foto a destra in alto:un’immagine di Licata tratta da centroilporto.it

 

 

 

 


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