L’informazione che fa male

La presentazione di “Fuoco amico”, l’ultimo libro di Giuliana Sgrena, è stata accolta con grande partecipazione nell’aula A1 del monastero dei Benedettini, tanto da costringere tutti, dopo pochi minuti, a spostarsi verso il più capiente Auditorium, che non è comunque riuscito a contenere tutti i partecipanti, molti dei quali si sono dovuti accontentare di assistere in piedi.

Tra applausi e domande del pubblico, la giornalista, segnata dalla terribile esperienza del rapimento in Iraq, che ha avuto il tragico epilogo dell’assassinio del funzionaro del Sismi Calipari, oltre al ferimento della stessa Sgrena, ha avuto modo di condividere la sua esperienza con la platea.

Al termine dell’incontro, al quale hanno partecipato il preside di Lingue Nunzio Famoso, il professore Pioletti e il presidente di Arci Catania, Anna Bucca, la giornalista de “Il Manifesto”, visibilmente stanca, ci ha concesso qualche minuto raggiungendoci nella redazione di Step1 per una breve intervista.

 

Partiamo dalla tragica notte della sua liberazione. Crede che l’attacco all’auto che la trasportava all’aeroporto sia stato un incidente o che ci fossero motivazioni di altra natura?
Non penso che sia stato un incidente, ma non so esattamente cosa sia successo. Lo voglio sapere dagli americani.

 

Loro l’inchiesta sul caso l’hanno chiusa…

Si, ma l’Italia non l’ha fatto. O meglio, ha chiuso l’inchiesta ma ha aperto un procedimento contro Mario Lozano e quindi il problema adesso è beccare Lozano e identificarlo, comunicargli questo procedimento e andare avanti. Questo non sarà facile.

 

Mentre si trovava in  Iraq si era resa conto di quanto stava accadendo a Falluja, prima che la tragica realtà fosse resa pubblica da Rai News 24?
Io queste cose le ho scritte prima che uscissero su Rai News.

 

Lei è stata l’unica, senza peraltro avere una grossa eco. Come spiega questa mancanza d’informazione da parte di tutti gli altri media?

Perché non è facile avere informazione su queste cose. Non era facile neanche andare a contattare i profughi di Falluja. Neanche andare a Falluja prima lo era. Era veramente rischioso andarci e questo ovviamente influisce. Non si erano mai viste le immagini, Rai News 24 ha dato le immagini e ciò ha scioccato più che il solo racconto.

 

Quanto è mutata la sua vita professionale?

E’ cambiata solo perché in questo momento sono in giro per presentare il libro, ma non cambierà.

Nella parte finale del suo libro sembra che lei esprima una certa disillusione nei confronti del ruolo di “giornalista sul campo”

Beh, sul fatto che in Iraq non si può più fare informazione in questo momento. Ma questo non vuol dire che rinuncerò. Sono stata in Afghanistan dopo che sono tornata dall’Iraq. Non vuol dire che non andrò più in giro a fare quello che facevo prima, ma adesso non posso pensare di andare in Iraq perché non ci sono le condizioni per fare questo lavoro. Spero che cambi la situazione e anche di poterci tornare. Nel frattempo andrò in altri posti dove sono sempre andata: sono già tornata in Algeria e in Palestina. Adesso devo ancora fare un programma perché sto finendo questo ciclo di presentazione del libro per poi ricominciare a fare qualcosa. Attualmente ho avuto anche dei problemi fisici, faccio ancora fisioterapia, e questo mi condiziona oltre a tutti i problemi che mi ha lasciato questo rapimento e soprattutto quello che è successo dopo.

 

Volevo chiederle cosa pensa della sua collega Oriana Fallaci…

No comment.

 

Adesso che sono stati ritirati tutti i giornalisti italiani dall’Iraq, cos’è cambiato nell’informazione?

Già era parziale prima, adesso non c’è più informazione sull’Iraq. Quello che passa sono bollettini di guerra, non viene più contestualizzato nulla. E già prima era molto scarso questo aspetto della contestualizzazione delle informazioni che arrivavano dall’Iraq. Adesso non c’è più niente di  tutto questo e c’è pure una motivazione, perché il giornalista non è più lì… D’altra parte, c’è ancora Jill Carrol sequestrata. Jill Carrol è una che faceva il lavoro che facevo io, quindi il fatto che anche lei sia stata sequestrata vuol dire che proprio gli spazi per fare un lavoro così non ci sono più. Allora, altri giornalisti andavano in Iraq e non uscivano non solo per volere loro ma anche per volere delle loro testate perché era molto pericoloso. Non si può più dire che bisogna andare, io non lo posso più dire adesso. Lo dicevo fino a prima di andarci, ora non lo dico più. E ci sono dei giornali per esempio che non accettano neanche i servizi dei freelance perché vuol dire metterli in pericolo per mandarti la notizia. In questo momento la questione del fare informazione in Iraq è diventata una questione politica.

 

In che senso?

Perché se la situazione di quel Paese non cambia non si può fare informazione. E non puoi dire che ci sia un processo democratico se non dai nemmeno il permesso alla stampa di essere presente. E’ un circolo vizioso. Bisogna puntare sul cambiare la politica verso quel Paese. Allora se ritiri le truppe, se inneschi un altro processo, secondo me sarà possibile tornare a fare informazione sull’Iraq. La questione della libertà di informazione è molto legata alla situazione politica, non può essere staccata. Chi è impegnato nella guerra non vuole i testimoni, e allora bisogna rompere questo circolo vizioso.

 

Sono più pericolose le dichiarazioni occidentali anti-Islam o quelle islamiche contro la cultura occidentale?

Purtroppo si alimentano a vicenda e non si calcolano mai i danni di certe prese di posizione. Da parte del mondo islamico non è questione di “percezione” delle dichiarazioni fatte dagli occidentali. Loro giocano con queste cose, e chi dà spago per farli giocare su queste cose e ampliare l’effetto secondo me ha la sua responsabilità. Dopodiché dall’altra parte viene strumentalizzato tutto. Ma questo lo dovremmo sapere, non lo possiamo ignorare. Il fatto che dall’altra parte strumentalizzino le cose e le amplifichino spesso non ha neanche a che vedere con l’Islam, perché chi manifestava, chi incendiava non erano i fanatici religiosi, si trattava di manifestazioni meramente politiche. Queste cose vengono gestite così perché l’Islam politico strumentalizza la religione, strumentalizza la sua e le altre, è questo il punto. Per cui non si può parlare di religione. La religione è una cosa ma questo è l’Islam politico, come l’integralismo di Bush viene usato a fini politici.

 

Crede quindi che l’informazione nel mondo occidentale possa essere pericolosa se  presa a pretesto da terroristi di matrice islamica?

L’informazione non approfondita, superficiale, che non vede esattamente ciò che succede dall’altra parte, danneggia solo noi perché non sappiamo cosa abbiamo di fronte. Se l’Occidente avesse capito cosa succedeva in Algeria quando c’era il terrorismo islamico e l’avesse preso per quello che era, forse non si sarebbe così meravigliato quando poi il terrorismo è arrivato in Occidente. Invece allora lo ignorava. Ripeto: è l’informazione superficiale e parziale che danneggia soprattutto noi, non è che loro stanno a reagire a ogni stupidaggine che noi scriviamo. Certo, se Berlusconi va a dire che loro sono una razza inferiore, queste cose sì che danneggiano. Io la mattina dopo stavo nella moschea in Pakistan e a momenti mi linciavano.

 

Grazie per la disponibilità.

Grazie a voi, arrivederci.


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