Accettazione e discriminazioni. Libertà di espressione e contrasti. Anche il territorio etneo è attraversato da contraddizioni quando si parla di tematiche lgbt, «ma nella percezione comune, anche negli strati popolari, la visione dell'omosessuale e del transessuale è familiare», spiega il presidente di Arcigay Alessandro Motta. Che parla dei prossimi impegni dell'associazione, a cominciare dal completamento dell'iter per l'istituzione del registro delle unioni civili
Catania alla vigilia del Pride «La città della felice indifferenza»
«Se dovessi fare un’analisi approfondita sulla natura della città, mi sembrerebbe superficiale dire che Catania è una città omofoba». Alessandro Motta, presidente dell’Arcigy etnea, parla di un territorio con «le sue contraddizioni: abbiamo avuto aggressioni a ragazzi transessuali e omosessuali e anche alla nostra sede, ma – prosegue -nella percezione comune, anche negli strati popolari, la visione dell’omosessuale e del transessuale è familiare». Una sorta di confidenza, «perché a livello sessuale è una città libera». Nonostante ci sia una sua componente che oppone resistenza, anche in maniera forte. E lo si è visto pochi mesi fa, in occasione della discussione sul registro delle unioni civili. «Ma a livello più generale c’è un grado di libertà e di felice indifferenza».
Un vivi e lascia vivere che «Catania ha nel suo dna». Ma a giocare un ruolo importante sono stati tre elementi. Uno politico, con le associazioni che si sono impegnate ad avviare un percorso articolato; uno politico-ludico rappresentato dai pride, gli eventi dell’orgoglio lgbt; uno ricreativo, incarnato dai locali che da oltre vent’anni sono un’istituzione anche per gli eterosessuali. Questi ultimi «hanno fatto molto nella presenza quotidiana nella città». Il più famoso senza dubbio è il Pegaso alla Playa, ma anche la scalinata Alessi «per tutti gli Anni ’90 era un punto di ritrovo dell’omosessualità». Alle falde dell’Etna, alla vigilia del nuovo millennio, «si parlava gay». Il mito della seconda città più gay friendly dopo Bologna regge ancora? «Di sicuro è un punto di riferimento nel Sud e la prima in Sicilia», risponde Motta con un sorriso.
Catania si appresta a vivere il Pride 2014, cinque giorni nei quali le questioni portate avanti dall’associazione verranno lette nella chiave scelta quest’anno: l’occupazione. «Non sottovalutiamo il loro valore», ammonisce Alessandro Motta. Dalla prima edizione, organizzata nel 1993 in piazza Università, ne è passato di tempo. In mezzo c’è stato anche uno scontro – era il 2006 – con Forza nuova. Fino al 2009 a curare tutti gli aspetti è stata l’associazione Open mind, da quell’anno è subentrata Arcigay. «Ho notato un crescendo nella partecipazione sia della comunità che di quanti assistono».
Sono molte le questioni sul tavolo, troppo spesso portate alla ribalta da casi drammatici. Il più urgente, forse, riguarda la discriminazione tra i più giovani. «Le percentuali nazionali di atti di bullismo a scuola sono molto alte – spiega Motta – A Catania uno studio non c’è». Il motivo? «Abbiamo difficoltà a entrare nelle scuole già per fare incontri, figurarsi per realizzare degli studi». E continua: «Purtroppo uno degli irrisolti politici e culturali è la mancanza di apertura dei dirigenti scolastici nei confronti di queste tematiche. Forse temono la reazione dei genitori – ipotizza – o per convinzioni personali». Anche spostando il focus a a livello nazionale c’è uno scontro culturale tra chi parla di ideologia dei gender e chi parla di politiche che partono dall’educazione all’affettività. «Non è facile», sospira. Per questo a settembre Arcigay Catania sarà tra le associazioni che interverranno a un incontro a Roma per discutere di azioni di intervento comuni. «La differenza è semplice – afferma Motta – Noi non neghiamo l’altro. E poi c’è chi pensa che esista un solo un modello di vita».
Se il Paese mostra ancora molte resistenze, Catania perde colpi anche per quelle che dovrebbero essere le battaglie già vinte. «Attualmente non abbiamo contezza del punto a cui è arrivato l’iter dell’attuazione dei registri delle unioni civili», dichiara Alessandro Motta. Un’approvazione giunta dopo un intenso dibattito, con le associazioni civili contrapposte a quelle religiose. «Dopo il Pride – assicura il presidente di Arcigay Catania – riprenderemo a monitorare la faccenda, perché quel documento non resti lettera morta». E poi ci sono anche le richieste negate, che forse fanno più male. «Avevamo chiesto all’amministrazione comunale di partecipare all’ammissione di un bene confiscato per realizzare una casa di accoglienza per giovani cacciati di casa». Episodi non rari, dopo coming out non accettati dalle famiglie. «Ci è stato detto ufficialmente che non c’erano immobili per queste destinazioni – dice Motta – La domanda non è frequentissima, ma è la più urgente». Perché è difficile ricevere appelli nel cuore della notte, chiedersi «cosa faccio?» e non sapere come rispondere. «È avvilente non poter fare niente», confessa con amarezza.
Quali sono le iniziative per le quali il mondo lgbt e le associazioni devono battersi per la Catania di domani? «Come presidente di Arcigay ho tre priorità: istituire un checkpoint per le malattie sessualmente trasmissibili, istituire la casa di accoglienza per giovani omosessuali, cominciare a pensare di più alla nostra comunità over 50. Se l’amministrazione pubblica ci desse una mano, saremmo felici». E conclude: «Mi piacerebbe che Catania fosse una città più attenta ai bisogni di tutti, che si aprisse. A volte ho l’impressione di vivere in un cortile medievale».