Filosofia, fisica, matematica: Catania somaro La pagella della sconfitta contro il Torino

La matematica, potremmo ripetere anche oggi, non ha ancora condannato il Catania. Vero. Ma si tratta giusto della matematica. E anzi, a voler essere precisi, soltanto di una parte di essa: pura e semplice aritmetica, nulla più che un’astrazione fatta di somme e sottrazioni. Se già passassimo alla geometria, infatti, ci sarebbe poco da rallegrarsi. Perché ieri pomeriggio i rossazzurri, eccettuata forse l’azione che al secondo minuto ha portato al provvisorio vantaggio realizzato da Bergessio, non sono riusciti a disegnare sul campo una sola trama di gioco che potesse mettere in difficoltà il Torino: limitandosi a far grappolo nella propria metà campo, nella vana speranza di intasare l’area di rigore per i restanti ottantotto minuti più recupero.

Se passiamo alla fisica, poi, le cose si mettono ancora peggio: l’inerzia del Catania in quest’ultima fase di campionato (un solo punto in sette giornate) sembra niente più che una mesta e fatale conferma della legge della caduta dei gravi. E nemmeno dall’educazione fisica – punto di forza, in genere, degli scolari non proprio secchioni – arrivano spunti per sperare in qualcosa di buono. Una squadra che tira i remi in barca a partire dal terzo minuto, probabilmente, non sta troppo bene nemmeno sotto il profilo atletico. E comunque, quand’anche Maran avesse messo in campo ogni domenica undici ragazzoni della più sana e robusta costituzione, ci sarebbe sempre stata la biologia a ricordarci che qualcosa non andava: perché in fondo una squadra di calcio è un organismo vivente; perché in questo sport – sport olistico per eccellenza – il totale non lo fa mai, semplicemente, la somma degli undici pezzi. Bisogna che ci sia qualcosa che tiene insieme i giocatori, che li faccia suonare tutti la stessi musica. Qualcosa che ognuno potrà chiamare come preferisce. A me piace chiamarla anima. Qualcosa che il Catania di quest’anno non ha. Come si è visto, del resto, fin dall’inizio del campionato.

Parliamo di filosofia, allora? Parliamone. È perfettamente lecito, nel calcio, impostare il gioco in modo biecamente utilitaristico, come ha fatto oggi il Catania dopo essere andato in vantaggio. Ma, una volta scelto quest’approccio, quel che conta è solo il risultato. Oggi il Catania, dopo l’uno a zero, ha rinunciato a giocare, concedendo agli avversari il dominio assoluto del centrocampo. E tuttavia è riuscito a prendere due gol in cui la difesa si è squagliata come burro. Se fosse stato più spavaldo, più cattivo, come certo avrebbero voluto i suoi tifosi; se si fosse affidato meno alla buona sorte e più alle sue virtù, non è detto che sarebbe finita così. Il Catania di quest’anno, secondo me, dovrebbe studiare meglio Machiavelli.

Della condotta, poi, non parliamo nemmeno. Ieri Maran ha dovuto togliere già nel primo tempo Gino Peruzzi perché il difensore si è fatto prima ammonire e poi redarguire verbalmente dall’arbitro: al fallo successivo, insomma, sarebbe stato inevitabilmente espulso. E poi, cartellini a parte, cosa dire di Barrientos? Dall’inizio di quest’anno, in verità, ci ha fatto venire più di un dubbio sulla sua voglia di giocare ancora per il Catania. E da un po’ di tempo a questa parte – da troppo tempo, direi – sembra che giochi solo per fare vedere quanto è bravo. Il che lo porta, nove volte su dieci, a infilarsi in dribbling impossibili e fallimentari, piuttosto che a guardare i compagni meglio piazzati per portarli a rete. Non ci si comporta così, mi pare.

Resterebbe l’italiano. I nostri se la cavano benino allo scritto, come ha mostrato il buon Mariano Izco con la sua recente lettera indirizzata ai tifosi. Mettere in pratica queste buone intenzioni, però, è tutto un altro discorso. E delle parole senza contenuti, a questo punto, non sappiamo più che farcene.

Andiamo bene, invece, con le lingue straniere. Pure troppo bene, secondo me. Intendiamoci: l’allegra e simpatica colonia di giocatori argentini di stanza a Catania è stata nel complesso, in passato, un punto di forza del nostro collettivo. Ma l’attuale assetto societario – che registra la presenza di un vicepresidente anch’egli argentino, e già procuratore di calciatori argentini – è risultato invece un punto di estrema debolezza. Come dimostra la pessima campagna acquisti di gennaio, che ci ha obbligato ad affrontare mezza stagione con il solo Bergessio come attaccante.

Ci resterebbe la storia, certo. Ma temo che di quest’ultima, nel calcio, si debba dire quel che ne diceva in generale Eugenio Montale. Il quale della storia, come è noto, non aveva grande stima. «La storia non è magistra / di niente che ci riguardi», scriveva il poeta. E noi in effetti possiamo anche guardarcela con compiacimento, la storia degli anni passati; ma dobbiamo sapere che questo non ci porterà da nessuna parte. Perché nel calcio la storia «non procede / né recede, si sposta di binario / e la sua direzione / non è nell’orario».

Cosa resta, dunque? Potrebbe restare, forse, la ragioneria. Rispetto alla quale arrivano dalla società rassicuranti segnali che l’azienda è sana. Ma girano anche ipotesi – non so quanto fondate – che, a mantener sana l’azienda, una retrocessione non sarebbe poi un così gran male. Ipotesi che hanno a che fare con il tetto degli stipendi, o con i finanziamenti per gli stadi, o con cose del genere. Ipotesi di cui io, che di queste cose sono ignorantissimo, non so dir niente: se non che la salute dell’azienda del presidente Pulvirenti mi interessa, sì: ma solo fino a quando coincide con il bene della mia squadra.

Che poi è una bizzarra cosa, la ragioneria. Dovrebbe essere, in quanto parente della matematica, una materia sottratta al labile terreno delle opinioni. E invece è forse, in questo momento, la scienza su cui i tifosi rossazzurri nutrono meno certezze.

[Il post originale è sul blog La pelota no se mancha]


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