Micron, tempo scaduto per la trattativa «Occuperemo il Consiglio comunale»

La trattativa per il salvataggio della Micron è ormai agli sgoccioli e da lunedì partiranno le lettere di licenziamento per 421 dipendenti su tutto il territorio italiano, 128 dei quali solo a Catania. Dopo gli incontri al ministero dello Sviluppo economico, prima, e del Lavoro poi, sembra quasi impossibile fermare il processo innestato dall’azienda statunitense che produce componenti di ultima generazione per smartphone, tablet e televisori. Anche la speranza di tornare nell’organico della St Microelectronics – che cedette parte del personale nel 2008 – sembra allontanarsi sempre più e stasera una cinquantina di dipendenti si sono raccolti a palazzo degli Elefanti, la maggior parte dei quali lasciati dietro i cancelli del cortile. «Motivi di ordine pubblico», spiegano dall’aula consiliare circondata da una decina di sindacalisti. La parola d’ordine sussurrata tra i presenti è «occupazione». Rendere permanente il presidio al termine della seduta ordinaria dedicata al regolamento edilizio.

«Siamo molto preoccupati, abbiamo fatto un mutuo per comprare casa». Rocco ha 39 anni e il suo compito è disegnare layout. «Con lo stipendio immaginiamo di dare un futuro alla nostra famiglia, andare avanti». Lui ha vissuto il tortuoso percorso che ha portato l’azienda a diverse trasformazioni negli ultimi sei anni. «Ho compiuto esattamente tredici anni a gennaio – afferma il professionista con un sorriso amaro – Sono entrato in St, poi il passaggio a Numonyx e a Micron». Qualche settimana fa l’amara sorpresa, sotto forma di una lettera che non si sa se sarà destinata anche a lui.

Tra i vari paradossi, infatti, c’è anche l’incertezza di chi effettivamente da lunedì dovrà lasciare il posto di lavoro. «Dal 7 aprile i colleghi potrebbero ricevere delle lettere di licenziamento senza nessuna soluzione. Vanno a casa». Isabella, 42 anni, non dovrebbe rientrare tra il personale tagliato, ma ha deciso di manifestare ugualmente. «L’azienda tenta di convincere le persone a trasferirsi a Singapore o negli Stati Uniti. Gente che lavora qui, ha un mutuo, una casa, dovrebbe sradicarsi e andare chissà dove. Oppure rinunciare allo stipendio», precisa. Nel settore da più di 15 anni, è laureata in Informatica e fa la programmatrice. «Il lavoro non manca – racconta – è la volontà dell’azienda che non c’è». «Un’azienda che non è in crisi», precisa un’altra collega. «Evidentemente non vuole restare in Italia – riprende Isabella – Ed è per questo che vogliamo spronare il sindaco Enzo Bianco, il presidente della Regione Rosario Crocetta e il presidente del Consiglio Matteo Renzi a cercare di capire e aiutarci».

Sarebbe disposta a trasferirsi a Singapore? La domanda lascia l’ingegnere quasi perplessa. «Ma non c’è assolutamente bisogno – sbotta – Con la tecnologia attuale, con i computer, i telefoni, le reperibilità che garantiamo 24 su 24, non c’è motivo. Anzi, si tende a delocalizzare». Senza contare che una multinazionale ha anche ulteriori vantaggi: «Il fatto che noi siamo in Italia è d’aiuto negli Stati Uniti, perché con le nostre reperibilità, grazie al fuso orario, copriamo l’intera giornata». Le motivazioni per le quali l’azienda di Boise, nel Idaho, abbia deciso di troncare i ponti con l’Italia sono ancora sconosciuti. «Avrebbero motivo a restare. Evidentemente il costo del lavoro, le tasse, la burocrazia li scoraggia a rimanere», continua la lavoratrice.

Nel cortile cala la sera. Un sindacalista cerca di spiegare a una coppia di turisti tedeschi l’assurda situazione. «Abbiamo una media di 40 anni d’età», dice Isabella. «Siamo giovani, abbiamo bambini giovani, mutui giovani», ribatte un’altra voce. «Da poco mi è nata una figlia», afferma con lo sguardo sognante Rocco. «Lei mi dà tanto coraggio. Con i tempi che corrono non è facile essere positivi perché sappiamo come funziona».


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