Cinderella Man: un commento

Caro prof, cari lettori,

 

si è vero “Cinderella Man” è certamente un buon film dal punto di vista tecnico (soprattutto nelle sequenze “sportive”), ma anche un prodotto assolutamente convenzionale all’interno del panorama cinematografico americano. Si, ci si emoziona a guardare le gesta sportive del pugile J.J. Braddock ma per il semplice motivo che la coppia Howard-Crowe si è specializzata nella produzione di pellicole di questo genere, in cui buone doti tecniche di regia sono unite ad altrettante valide capacità recitative per personaggi totalmente positivi privi di sfumature caratteriali.

 

Sarebbe bello invece che qualche volta il cinema a “stelle e strisce” non ci raccontasse la solita favola trita e ritrita della terra della speranza in cui ogni uomo dotato di buona volontà può raggiungere qualsiasi risultato (l’american way of life), per il semplice fatto che esso, da sempre, è stato in america più uno slogan che una verità di fatto. Si, è vero negli Stati Uniti il traguardo del successo è uguale per tutti, ma è anche altrettanto vero che la linea di partenza di questa ideale gara per la vita è differente a seconda se sei nero, giallo, rosso o bianco. Ad onor del vero in passato il cinema americano in pellicole similari a “Cinderella Man” ha anche trattato temi maggiormente controversi come ad esempio in “Toro Moreno” (Mark Robson, 1956), in cui in mimesi si narra la vera storia del nostro boxer Primo Carnera (presente come personaggio anche nella pellicola di Howard) campione-bufala costruito ad arte solo per motivi economici. Il problema è che questo genere di opere restano sempre un numero ridicolo rispetto ad altri prodotti poco impegnativi dal punto di vista artistico e creati solo per muovere soldi al botteghino (di cui per quanto godibile fa parte la pellicola di cui discutiamo).

 

Come si diceva sarebbe bello che ad Hollywood si decidesse di raccontare storie più interessanti. Si potrebbe pensare, ad esempio, di mettere per immagini la vita del grande Joe Louis (che batte Braddock pochi mesi dopo le vicende narrate in “Cinderella Man”), pugile di colore e probabilmente il più grande campione che questo sport abbia mai avuto, che morì in povertà dimenticato da quel potere che lo aveva usato nel momento del bisogno e che lo abbandonò subito dopo. Di come nei suoi due leggendari incontri con il tedesco Max Schmeling il pubblico americano nel primo (1936) incitasse l’europeo ad “uccidere lo sporco negro” e nel secondo (1938), in pieno clima prebellico, invece osannasse il campione di colore come baluardo dello spirito libertario americano contro la spregevole dittatura nazista. Sarebbe bello, ma sarà difficile che ciò accada. Meglio la storia di J.J. Braddock nella edulcorata versione Howard, in cui il protagonista è assolutamente perfetto: perfetto sportivo, perfetto campione, perfetto amico, perfetto marito, perfetto padre. Un personaggio praticamente alieno privo di qualsiasi controversia caratteriale e sfumatura psicologica. Ma così è più facilmente “digeribile” da un pubblico affamato di eroi banali e lo è ancor di più se la sua vicenda sportiva viene condita con le drammatiche vicende storiche americane del dopo crack wallstreettiano del ’29.

 

Ciò infastidisce ancor di più perché si usa a strumento di costruzione narrativa, in salsa epica, vicende sociali che in realtà all’interno della vicenda narrata sono sfondo o semplice mezzo. E non basta ambientare qualche sequenza nella Hooverville (la baraccopoli costruita in Central Park dai senzatetto newyorkesi che prendeva il nome da Herbert C. Hoover, inquilino della Casa Bianca in quel drammatico periodo di crisi economica) per dare un respiro di forte tematica sociale alla pellicola. “Cinderella Man” è un film esclusivamente sulla vicenda sportiva di Braddock. Lui e le sue imprese sul quadrato sono gli unici oggetti del racconto: tutto il resto sono solo furbe trovate narrative. Meglio sarebbe stato per la pellicola se il regista avesse avuto la capacità di far procedere le vicende sportive e quelle umane del protagonista realmente di pari passo così come accade in “Toro scatenato” di Scorsese (il paragone tra i due film da lei proposto prof, mi perdoni, non potrebbe che apparire eccessivo a chiunque avesse visto entrambe le pellicole) o addirittura se le gesta atletiche del buon Braddock fossero state costruite come cornice all’interno della quale raccontare una vicenda di più ampio respiro sociale e di maggiore profondità tematica. Credo che ciò al film avrebbe molto giovato.

 

Così costruito non sarebbe stato, in pratica, un semplice “popcorn movie”, ma un opera meritevole dell’onore della memoria. Esistono, assicuro, le pellicole così strutturate. Ad esempio “Il miracolo di Berna” (Sonke Wortmann, 2003) in cui si racconta della rinascita emotiva ed affettiva di una famiglia tedesca all’indomani della Seconda Guerra Mondiale sullo sfondo dei mondiali di calcio svizzeri del ’54, vinti appunto dalla selezione tedesca.

Non ho molto atro da aggiungere in questo mio commento in ordine sparso al suo pezzo sul film di Howard, se non di suggerire ai lettori di andare comunque a vedere “Cinderella Man” ma senza affrettare il passo nel farlo. Correte, se volete, per il film di George Cooney (“Good Night, and Good Luck”), fresco “non vincitore” a Venezia, opera per la quale vale veramente la pena di arrivare con il fiatone in sala. A tutti, a presto.

 

                                                                           David     


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