A fine maggio altre tre misure cautelari erano state eseguite dalla guardia di finanza. Adesso ai domiciliari è finito anche colui che sarebbe stato l'amministratore di fatto dell'impresa che sarebbe stata svuotata per non saldare i debiti con l'erario
Fibra ottica e mafia, arrestato il nipote di Turi Pillera L’inchiesta riguarda la bancarotta della T.C. Impianti
Poco più di un mese dopo i primi arresti, una nuova misura cautelare è stata emessa dal tribunale di Catania nell’ambito dell’indagine sul fallimento della T.C. Impianti. A finire ai domiciliari è stato il 48enne Giuseppe Consolo. L’arresto è stato eseguito dalla guardia di finanza e segue quelli di maggio nei confronti di Francesco Marino, Massimo Scaglione e Giovanni Consolo. I magistrati contestano la bancarotta fraudolenta, commessa nell’interesse del clan Pillera-Puntina. Gli indagati sono legati a Turi Pillera, lo storico capomafia conosciuto come Turi Cachiti. L’ultimo arrestato ne è nipote. Il 48enne, al pari degli altri indagati, è accusato di avere avuto un ruolo nello svuotamento delle casse della T.C. Impianti, dichiarata fallita dal tribunale ad aprile 2021, a favore della Easytel, altra società a loro riconducibile. Le operazioni illecite avrebbero avuto l’obiettivo di scrollarsi di dosso i debiti – circa 800mila euro quelli quantificati dalla curatela fallimentare, perlopiù dovuti a mancati versamenti nei confronti dell’erario – distraendo i beni aziendali e tutto ciò che avrebbe potuto garantire futuri profitti. Come nel caso dei contratti stipulati con la Sielte, per interventi di manutenzione e riparazione di impianti telefonici e lavori di posa della fibra ottica. Agli atti delle indagini ci sono anche sette fatture ritenute false ed emesse con il fine di trasferire 140mila euro alla nuova società.
A collegare l’impresa T.C. Impianti al clan Pillera e al suo capo è stato il collaboratore di giustizia Salvatore Messina. Conosciuto negli ambienti criminali come Turi Manicomio, in alcuni appunti Messina ha citato altre due ditte: la R.T: Impianti e la A.F. Impianti. La prima intestata al figlio di Rosa Pillera, la sorella del boss, e la seconda amministrata dal genero di Giuseppe Consolo. Entrambe sarebbero in rapporti economici con Sielte. «I fondi che entravano in queste ditte provenivano anche dall’attività di usura compiuta da Rosa Pillera», ha specificato il collaboratore di giustizia. Guardando agli alberi genaologici degli indagati sono chiari i collegamenti con il boss catanese: Giovanni Consolo, padre dell’ultimo arrestato, è cognato di Pillera e suocero di Massimo Scaglione. Quest’ultimo, qualche anno fa, fu protagonista di un tentativo di estorsione nei confronti dei fratelli Leonardi, i proprietari della Sicula Trasporti poi arrestati nell’inchiesta Mazzetta Sicula.
A carico di Giuseppe Consolo ci anche le parole pronunciate da Francesco Marino, per un periodo formalmente amministratore della T.C. Impianti. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia seguito all’arresto, al giudice che gli ha chiesto di chiarire cosa intendesse Marino quando parlava dei soci dell’impresa come di «brutta gente», l’uomo ha confermato la riconducibilità della T.C. Impianti al clan mafioso, aggiungendo poi di non avere avuto alcun potere concreto nella amministrazione della stessa rispetto a Giuseppe Consolo. «Se io a questo qua gli dico “queste cose non si devono fare”, lui mi prende e mi dice: “ti sto ammazzando”». A riprova dell’autorità di Consolo ci sarebbe anche la scelta del commercialista che avrebbe dovuto seguire le vicende societarie.