3+2, ancora troppo pochi i laureati

Il nuovo sistema universitario del 3+2 sta giungendo, eccetto in alcuni corsi di laurea avviati in ritardo, al compimento della sua prima fase: è il momento delle prime lauree triennali. E’ filato tutto liscio? Tutto come previsto? Con l’aiuto del professore Alessandro Corbino, docente a Giurisprudenza e delegato del rettore per la Didattica, abbiamo cercato di individuare e analizzare gli elementi che stanno emergendo da questo primo triennio vissuto con il nuovo ordinamento. Insomma, un primo bilancio della riforma.

 

Innanzitutto, chi sono i nuovi laureati? Possiamo inquadrarli in due categorie: gli studenti che hanno approfittato dell’agevolazione concessa dalla riforma e che hanno convertito le loro vecchie carriere universitarie nel nuovo ordinamento didattico; gli studenti che hanno intrapreso fin dall’inizio un corso di laurea di nuovo ordinamento.

Mentre per i primi, sostanzialmente, non si notano differenze rispetto ai laureati con il vecchio ordinamento, per quanto riguarda i secondi emergono risultati interessanti, per quanto prevedibili: da un lato non si è abbassata la durata media degli studi, tanto che i dati nazionali danno una cifra di appena 20 mila laureati nel 2003. Il numero degli immatricolati che si laureano è molto basso, e di questi laureati, inoltre, solo poco meno di un terzo è riuscito a concludere gli studi nella durata legale del corso.

Altro dato interessante uscito fuori da questi primi tre anni “sperimentali” sembra essere che queste nuove lauree diano risultati “un po’” migliori rispetto ai vecchi Diplomi universitari triennali. Sembrerebbe che, in linea di massima, la qualità dei nuovi laureati rispetto ai vecchi diplomati sia migliore.

 

Questi sono i primi elementi di valutazione che emergono da un’indagine condotta su scala nazionale. “In questa prima fase di trasformazione – spiega il prof. Corbino – la difficoltà più grave che abbiamo scontato è stato il fatto che l’Università non è riuscita a dare alla laurea triennale un mero contenuto distinto dai vecchi percorsi. Spesso, i vecchi percorsi sono stati riversati nei corsi triennali con aggravamento sostanzialmente del carico didattico degli studenti, e non c’è stata una vera radicale revisione di queste cose”. Tutto sommato però alcuni dati confortanti provengono da quelle poche Università che, essendo partite prima e avendo creduto più profondamente nella riforma, hanno fatto da “apripista” e adesso fanno ben sperare per un graduale assestamento del mondo universitario.

“Un percorso formativo va progettato, sperimentato e poi eventualmente sistemato – afferma Corbino -. Dal momento in cui si progetta il percorso a quello in cui se ne può costatare l’efficacia, passano, per forza di cose, parecchi anni, soprattutto in un sistema economico come quello attuale in veloce cambiamento”.

 

Il punto fondamentale, verso il quale il sistema si sta orientando, sembra quindi quello del monitoraggio dell’andamento delle cose per poter consentire gli aggiustamenti in corsa che permettano di migliorare il sistema stesso. Tutto ciò esige una costante attenzione e una capacità di leggere questi fenomeni in tempo reale grazie all’informatizzazione, all’attenzione e alla sensibilità. “Questo complesso processo – sottolinea Corbino – avrà necessariamente bisogno di anni per raggiungere un equilibrio, e non bisogna essere né ipercritici nella valutazione di ciò che sta accadendo né disinvolti al punto da lasciar andare le cose come vanno”.

Non ci resta che dire: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

 

Per ulteriori informazioni e dati sulla valutazione della didattica è possibile consultare i documenti 5/04 e 4/03 nel sito internet del Consiglio Nazionale per la valutazione del sistema universitario all’indirizzo www.cnvsu.it


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