Nebrodi, sequestro a Giovanni Pruiti e compagna «In quest’area contadini vessati come nel 1920»

Alla fase degli arresti, segue quella dell’aggressione al patrimonio. Lo Stato continua la guerra alla mafia dei Nebrodi, mettendo i sigilli a beni immobili e società di Giovanni Pruiti, considerato il capo del clan Santapola-Ercolano a Cesarò dopo l’arresto del fratello Giuseppe Pruiti. Insieme a Giovanni Pruiti, in carcere dallo scorso febbraio, è stata colpita anche la compagna Clelia Bontempo a cui erano intestate diverse società ed è coinvolta anche la madre del reggente di Cosa Nostra nel territorio dei Nebrodi, Giuseppe Pignarella Arcodia, formalmente pure lei titolare di alcuni beni. 

Gli uomini della Direzione investigativa antimafia di Catania, in collaborazione con i colleghi di Messina, hanno quindi posto sotto sotto sequestro due imprese operanti nel settore agricolo (allevamento e coltivazione dei fondi) tra cui la Tellus, numerosi terreni agricoli e un fabbricato, diversi veicoli, titoli ordinari Agea e rapporti finanziari in corso di quantificazione. Al centro del business della famiglia Pruiti ci sono sempre i finanziamenti europei destinati all’agricoltura. «Questa non è solo una mafia dei pascoli – spiega il capocentro della Dia di Catania Renato Panvino – ma è una mafia imprenditoriale, che ha intuito come con la terra possa avere molti benefici».

Il capo della Dia etnea descrive le due strade percorse dalla mafia dei Nebrodi per arricchirsi: «Appropriarsi dei terreni altrui falsificando i documenti, senza il consenso dei legittimi proprietari, o con l’uso della forza». Gli investigatori hanno approfondito entrambe le piste, passando a setaccio migliaia di documenti per far luce sul rodato sistema delle truffe all’Agea (l’agenzia per le erogazioni in agricoltura da cui passano i fondi Ue), chiamando a testimoniare decine di persone, a volte molto anziane e confrontando numerose firme. Ma è dall’estrema pericolosità criminale, ad esempio, che nascono gli arresti dello scorso febbraio, quando in carcere sono finiti lo stesso Giovanni Pruiti e Turi Catania, considerato il capo del clan mafioso di Bronte, affiliato alla famiglia Santapaola, di cui garantiva gli affari illeciti fino ad Adrano e Paternò. L’urgenza del provvedimento cautelare è derivata dal piano omicidiario nei confronti di un imprenditore che avrebbe resistito ai loro piani criminali. 

«I Nebrodi non sono un territorio franco – rivendica Panvino – questo è un momento di grande liberazione, una svolta a cui seguiranno altre operazioni. Adesso però la società civile deve fare la sua parte, compresi i patronati. Davanti a quello che abbiamo trovato, mi è sembrato di tornare al 1920, quando i piccoli agricoltori subivano la mortificazione di dare parte del raccolto al gabellista che manteneva il controllo delle terre».

Giovanni Pruiti, il cui patrimonio oggi finisce sotto sequestro, è stato condannato nel 2005 dal Gip di Catania per il reato di associazione di stampo mafioso, diretta da Turi Catania e operativa nei territori di Bronte, Maniace, San Teodoro e Cesarò. Alla compagna Clelia Bontempo, 37anni e finora rimasta estranea alle precedenti operazioni, erano intestate un’impresa agricola individuale, la società agricola Tellus (al 50 per cento con la madre di Pruiti), una Golf Volkswagen e conti correnti. La quasi totalità dei terreni sequestrati erano invece per il 50 cento di proprietà della stessa Bontempo o di Giovanni Pruiti, per altra metà di Angioletta Triscari Giacucco, convivente dell’ergastolano Giuseppe Pruiti. 

In totale, unitamente al sequestro effettuato lo scorso 17 marzo proprio a Giuseppe Pruiti, passano momentaneamente allo Stato beni per oltre due milioni di euro. In particolare è stata evidenziata la sproporzione tra i redditi dichiarati e il patrimonio acquisito nel corso dell’ultimo decennio. Nonostante i contributi europei che, tra l’altro, non potevano essere assegnati a soggetti destinatari di misure di prevenzione e dei loro familiari, il patrimonio rilevato dalle investigazioni è risultato frutto di investimenti di gran lunga superiori ai flussi finanziari regolarmente dichiarati. «Oggi – conclude Panvino – questi territori si liberano di una asfissiante presenza mafiosa». 


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