Vittoria, il mostro stritolafamiglie delle aste giudiziarie Da 15 giorni protesta in piazza, «ora vogliamo risultati»

Al quindicesimo giorno di sciopero della fame (e con sei, sette chili persi) le sue condizioni si sono aggravate e stamattina è finita al pronto soccorso per un malore e probabilmente verrà sostituita nel suo lungo presidio in piazza Gramsci a Vittoria. Finisce così la protesta di Rosetta Piazza, 51 anni, rappresentante del movimento Donne in agricoltura, che da oltre due settimane protesta contro il mancato sostegno alle imprese agricole, colpite da una crisi senza precedenti e che ha dato vita al «mostro stritolafamiglie» delle aste giudiziarie

Nel tritacarne delle aste la famiglia della signora Piazza ci è finita diversi anni fa, quando il marito ha deciso di ammodernare la sua azienda agricola. La famiglia si è indebitata, ma le disastrose annate agrarie successive sono bastate a stento a coprire le spese. Risultato? Un debito di 200mila euro e tutto pignorato. La casa della signora Piazza è stata venduta all’asta cinque mesi fa per 27mila euro a fronte dei circa 200mila euro di valore stimato dal perito del tribunale

Stesso discorso ora per l’azienda agricola, che vale circa 315mila euro e potrebbe essere venduta ad una cifra di gran lunga inferiore. Una famiglia buttata sulla strada e due beni venduti ad una somma che neanche basta a pagare il debito originario. Ad acquistare la casa è stata una donna di Vittoria, che adesso si dice disponibile a restituirla se le vengono restituiti i suoi circa 30mila euro sborsati. Una cifra impossibile da ottenere per la famiglia della signora Piazza, che risulta morosa e non può dunque accedere a nessuna forma di credito.

Così lei, per portare avanti la sua battaglia personale e quella collettiva, per 15 giorni si è nutrita di succhi di frutta e tè; già qualche giorno fa ha accusato un malore, nel momento in cui le era stato comunicato che l’asta per la vendita del terreno sul quale sorge la sua azienda non era andata deserta e che era stata presentata un’offerta. I sanitari del 118 l’hanno trasferita all’ospedale Guzzardi di Vittoria dove i medici l’hanno tenuta sotto osservazione per diverse ore. Lei, però, ha rifiutato il ricovero ed è tornata in quella serra allestita dal Movimento Riscatto di Maurizio Ciaculli, che da gennaio è diventata il simbolo della protesta del comparto agricolo e all’interno della quale, per due settimane, ha dormito e ha trascorso le sue giornate. 

«È una questione di principio, questa volta vogliamo i risultati, a nome delle centinaia di famiglie vittoriesi, migliaia in provincia, che vivono lo stesso dramma e si vergognano ad ammetterlo. Non mi muoverò di qui – diceva la signora Piazza prima di un nuovo malore – e non sospenderò la protesta finché non si svolgerà un consiglio comunale aperto alla presenza della deputazione nazionale e regionale iblea. Mi meraviglio anche dell’assenza totale di sua eccellenza il Prefetto che, in quanto donna, pensavo avrebbe capito e sarebbe stata più sensibile al mio dramma di donna e madre. Invece, non abbiamo ricevuto neanche una telefonata. La politica è sorda ai nostri appelli». Parole espresse ieri pomeriggio e proprio stamattina la prefetta Maria Carmela Librizzi ha fatto visita alla serra in piazza Gramsci. 

Il consiglio comunale aperto invocato dal Movimento Riscatto e da Donne in Agricoltura dovrebbe tenersi il 10 giugno proprio in piazza Gramsci, il presidente Andrea Nicosia ha già ottenuto la disponibilità di tutti i consiglieri e in queste ore sta personalmente contattando i parlamentari, dai quali si vorrebbe anche sapere che fine ha fatto l’iter per l’approvazione della legge sull’impignorabilità della prima casanata all’indomani della tragedia Guarascio.

A seguire le vicende giudiziarie della signora Piazza è, da circa due mesi, l’avvocata Marcella Pisani che parte da un’amara constatazione: «Quando la signora è arrivata nel mio studio era già stata seguita da un legale di Palermo. Questa è la riprova che le persone diffidano anche di noi avvocati della zona, perché temono atti di sciacallaggio pure da parte nostra». L’avvocato scende poi nello specifico: «Le procedure che hanno portato al pignoramento e alle aste sono due, con due istituti diversi. Sapendo che ci sono queste situazioni, il buon senso indicherebbe di non partecipare alle aste degli immobili, almeno di quelli del nostro territorio. Per fortuna l’asta dell’azienda è andata deserta, anche se c’è stato un vero mistero su questa fantomatica busta contenente un’offerta di 71mila euro che ha causato il primo malore della signora Piazza. Prima ci è stato comunicato che era arrivata, poi la delegata alle vendite ci ha rassicurate, parlando di un disguido. Ad ogni modo stiamo parlando di un settore molto particolare, dove i limiti per estinguere l’asta sono discrezionali».

E intanto il dramma di Rosetta Piazza è approdato finalmente al Senato, grazie all’intervento della senatrice del Pd Venerina Padua, che ha chiesto la parola per illustrare la gravità di quanto sta accadendo da inizio gennaio in piazza Gramsci e ha sollecitato la necessità di «un segnale d’ascolto e in controtendenza rispetto all’andamento attuale. Negli ultimi anni – ha detto – a causa della crisi economica che ha determinato rilevanti difficoltà creditizie, si è assistito ad un notevole incremento delle procedure esecutive immobiliari e il governo, ad esempio con il decreto-legge n. 83 del 2015, è intervenuto nelle procedure di esecuzione immobiliare. Tuttavia, in alcune zone della Sicilia, come nella provincia iblea, è ancora in corso una vera e propria emergenza sociale che riguarda le vendite dei beni immobiliari all’asta e c’è necessità di operare un nuovo e più incisivo intervento, per garantire un iter procedurale che bilanci e soddisfi al meglio interessi e diritti delle parti coinvolte, contrastando gli eccessivi e intollerabili ribassi dei prezzi applicati ai beni immobili oggetto di procedure esecutive». 

La Padua, poi, ha lanciato un appello. «Potrebbe essere avviata la discussione di un disegno di legge che ho presentato a dicembre 2015, proprio per contrastare il ricorso a questa deplorevole corsa al ribasso nelle aste giudiziarie. C’è anche una proposta: stabilire un limite, fissato al 40 per cento del valore del bene determinato ai sensi dell’articolo 568 del codice di procedura civile, che non potrà in nessun caso essere superato. Tale tetto, inoltre, dovrebbe eludere la possibilità che siano messe in atto operazioni speculative, cioè il travisamento della legge realizzato tramite le intese tra operatori professionali per disertare le aste fino a quando i ribassi rendano il prezzo risibile»


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