Migranti: riprese le tratte dall’Egitto, rischio naufragi Fino a Portopalo in barca a vela con scafisti ucraini

Il flusso migratorio di uomini, donne e bambini non diminuisce. Le rotte sul Mediterraneo si incrociano e rinnovano ciclicamente, mantenendo intatto l’obbiettivo di raggiungere l’Europa. Dopo un lungo periodo in cui i barconi partivano prevalentemente dalla Libia, sono riprese le tratte che hanno inizio in Egitto. Oggi 237 persone sono arrivate al porto di Augusta, sono di nazionalità egiziana, sudanese ed eritrea. Nei giorni precedenti, nei due principali porti della Sicilia sud-orientale sono sbarcati circa settecento migranti. A Pozzallo, nel Ragusano, sono arrivati in 214, trasportati dalla nave della Guardia costiera francese J.F. Deniau; ancora ad Augusta 464 sono sbarcati dalla nave Orione, della Marina Italiana – a bordo vi erano anche due morti per ferite di arma da fuoco –, e in 33 sono stati tratti in salvo da una imbarcazione della Capitaneria di porto.

Nelle prime due settimane di aprile si è registrato un notevole incremento del flusso di migrazione. Sono approdati sulle coste italiane in seimila, più di duemila in un solo fine settimana. Secondo gli osservatori internazionali le cause sono molteplici: la chiusura della rotta balcanica; l’accordo siglato tra Unione Europea e Turchia; il grande caos che avvolge la Libia, anche dopo l’arrivo di quello che gli occidentali vorrebbero premier, Al-Sarraj. I migranti approdati provengono in larga parte dal Corno d’Africa (Eritrea, Somalia, Sudan) o dalla regione sub-sahariana occidentale. Si è registrata inoltre, nello sbarco di Pozzallo, una forte presenza di profughi egiziani.

Ci sono poi due episodi di sbarchi direttamente sulle coste siciliane. Stamattina poco dopo le 9 un gruppo di 27 somali – 18 uomini, 7 donne e 2 bambini – è arrivato fino a Portopalo, a bordo di una barca a vela guidata da due uomini ucraini, ritenuti gli scafisti. Ieri un piccolo gommone è stato raggiunto al largo di Vendicari. I 33 a bordo erano soprattutto iracheni e afgani, forse salpati dalla Turchia (ma sarebbe un viaggio molto lungo) oppure trasbordati da una nave madre fino a poche miglia. 

Negli stessi giorni diversi organi di stampa internazionale hanno riportato – per diverse ore senza conferme ufficiali – la notizia del naufragio di una imbarcazione che trasportava soprattutto migranti somali, ma anche eritrei e sudanesi; a bordo erano in quattrocento (o forse cinquecento). L’informazione è poi stata confermata dal presidente della Somalia, che ha inviato un comunicato alla nazione in cui definisce l’evento «una terribile tragedia». Il naufragio in Italia è stato riportato da pochissime testate. «Sono davvero incomprensibili le dinamiche di questi giorni – commenta l’attivista di Borderline Judith Gleitze – mancano le notizie principali, sembra essere calato un profondo silenzio. Non viene lasciato trapelare nulla. Gli sbarchi e le tragedie però continuano». Solo quarantuno migranti si sono salvati e sono stati trasportati a Kalamata, in Grecia. Il portavoce dell’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) Flavio Di Giacomo, giunto sul luogo, ha confermato che i migranti erano «a bordo di una imbarcazione organizzata da trafficanti egiziani».

Anche i migranti sbarcati a Pozzallo erano salpati dall’Egitto. «È ripreso il periodo dei trafficanti egiziani – ha commentato il capo della squadra mobile di Ragusa Nino Ciavola – sono tornati, dopo che per mesi si salpava solo dalla Libia. Li conosciamo già: utilizzano mezzi e metodi diversi». Dopo l’approdo sono stati arrestati in sei, con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Si dividevano i compiti: chi comandava la barca, chi controllava la cambusa, chi stava al motore. Uno dei due motoristi ha sedici anni, si tratta del sedicesimo minorenne arrestato come scafista dalla polizia di Ragusa in tredici sbarchi negli ultimi quattro mesi. «Uno invece è un recidivo, è già stato arrestato a Siracusa per lo stesso motivo nel 2014, poi raggiunto da provvedimento di espulsione», ha sottolineato il commissario Ciavola.

Le reti criminali egiziane sono solite utilizzare imbarcazioni più robuste e più spaziose, rispetto ai gommoni adottati dai libici. Spesso si tratta di vecchi pescherecci, quasi sempre scafi con struttura in legno. Resistono più facilmente alla navigazione – che dall’Egitto è più lunga e può durare diversi giorni – e possono contenere molte più persone a bordo. Aspetto fondamentale, considerato il modo di operare. I trafficanti egiziani infatti accolgono all’interno della nave madre i migranti che sono salpati dalla costa su piccoli gommoni, con pericolose operazioni di trasbordo in mare.

La stessa manovra non è riuscita nel tragico naufragio di tre giorni fa. Secondo una sopravvissuta, durante il tentativo di passaggio tra i due natanti – di cui il più grande già abbondantemente sovraccarico –, il peso eccessivo su un lato avrebbe ribaltato il gommone, gettando in mare chi era a bordo. Con l’ennesimo naufragio avvenuto al largo della Libia, il conto dei morti incrementa vertiginosamente. Secondo l’Oim, sino alla settimana scorsa, avevano perso la vita nel tentativo di percorrere la Central Mediterranean route in 356. Esattamente un anno prima, il 18 aprile del 2015, l’affondamento di un barcone con più di ottocento morti – i pochi sopravvissuti erano sbarcati al porto di Catania – aveva ricevuto imponente copertura giornalistica mondiale, in concomitanza con l’annesso ipocrita cordoglio politico europeo. 


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