Voto di scambio, chiesta la condanna per i Lombardo L’intercettazione: «In Sicilia si vota solo per il lavoro»

«In Sicilia,
quando dai un voto, lo fai perché ti serve il lavoro, perché mancano i soldi». Un processo riassunto nel contenuto di una telefonata intercettata. A leggera ripetutamente in aula sono Rocco Liguori e Lina Trovato, i due magistrati che hanno chiesto la condanna per voto di scambio semplice per Raffaele Lombardo e per il figlio Toti. Un anno e due mesi per l’ex presidente della Regione che «ha agito con la consapevolezza di essere già sotto indagine per concorso esterno in associazione mafiosa», dieci mesi per il figlio, attualmente parlamentare all’assemblea regionale siciliana. Quest’ultimo potrebbe beneficiare delle attenuanti generiche. «Per la giovane età, perché incensurato e sempre presente in aula», sottolinea Liguori alla giudice monocratica Laura Benanti. Per l’imputato anagraficamente più giovane, però, c’è anche la richiesta di ineleggibilità  per i prossimi sette anni.

Il volto nuovo e quello passato dell’autonomia siciliana
 assistono in silenzio alla lunga requisitoria. Ore di tensione vissute in postazioni separate. Toti seduto accanto al suo legale Salvatore Pace, mentre il padre preferisce una posizione più in disparte, in ultima fila, tra cronisti e curiosi che affollano l’aula dell’ex pretura di via Crispi. L’indagine, iniziata dopo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Vincenzo Pettinati e Gaetano D’Aquino, ha monitorato il periodo elettorale che si estende dalle regionali del 2012 fino alla vigilia delle ultime comunali del 2013. Un periodo di sei mesi in cui si sarebbe consumato, secondo l’accusa, il reato di voto di scambio. Preferenze in cambio di posti di lavoro nella nettezza urbana.

A beneficiarne sarebbero l’ex consigliere della prima municipalità in quota Movimento per le autonomie
Ernesto Privitera – nel ruolo di intermediario – e due suoi parenti, il cugino Angelo Marino e il cognato Giuseppe Giuffrida. Per tutti e tre gli imputati la richiesta di condanna è di dieci mesi. In aula, durante la requisitoria, vengono passate in rassegna decine di telefonate. Discussioni in cui spesso il protagonista è Privitera che, durante tutto il periodo d’indagine, avrebbe più volte sollecitato le assunzioni, poi effettivamente avvenute alla Ipi srl, società che – insieme alla Oikos – dal 2010 si occupa del servizio di nettezza urbana a Catania

«Si tratta di soggetti che
rivendicavano come un diritto la sistemazione lavorativa – analizza Liguori -, una cosa che si sono guadagnati durante le campagne elettorali arrivando a minacciare pure il cambio di schieramento». Privitera, più volte presentato dalla difesa di Lombardo come un fedelissimo fin dai tempi della militanza del padre, secondo l’accusa sarebbe tutt’altro. «In questo processo non ci sono liberi professionisti, ma tutta gente impegnata in società pubbliche partecipate». Un contesto «agli antipodi della questione morale» chiosa Liguori, che poi prosegue: «Ci sono consiglieri comunali e provinciali che pensano bene di andare a fare riunioni a casa di boss mafiosi». Il riferimento è all’incontro del 6 maggio 2013 tra l’attuale consigliere Maurizio Mirenda, la compagna Vanessa D’Arrigo, all’epoca consigliera provinciale del Mpa, e il pregiudicato Nino Balsamo, cognato del capomafia Orazio Privitera del clan Cappello. 

Raffaele Lombardo ha rotto il silenzio solo alla fine dell’udienza quando ha deciso ancora una volta di fare alcune dichiarazioni. Una mossa preannunciata che però ha riservato un colpo di scena quando l’ex governatore ha preso in mano il suo smartphone per leggere un messaggio. «Mi ha scritto proprio oggi una signora di Caltagirone, dice di essere senza lavoro da una settimana e di non sapere come fare ad andare avanti». «Ho letto quel testo – commenta fuori dall’aula Lombardo – per far capire cosa voglia dire essere un politico a certi livelli. Questa era la normalità quando ero presidente, con centinaia di richieste d’aiuto. Sono comunque sereno perché confido nella valutazione della giustizia».


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