Vittoria, parla il figlio dell’operaio suicida Il M5s e l’abitazione comprata due volte

Giovanni Guarascio è morto il 21 maggio del 2013. Si era dato fuoco una settimana prima, davanti all’ufficiale giudiziario che gli intimava lo sfratto. Il 64enne operaio edile disoccupato non era riuscito a pagare il mutuo e la casa gli era stata pignorata e messa all’asta. Dopo il suicidio, la magistratura ha aperto un’inchiesta, per verificare l’operato dell’istituto bancario nella gestione del credito, ma anche dell’acquisto da parte di un privato. Tre persone, tra cui l’acquirente dell’immobile, sono state iscritte nel registro degli indagati. Tra i reati contestati truffa, estorsione e turbativa d’asta. In provincia di Ragusa sono numerose le abitazioni e le aziende pignorate ai proprietari per debiti e rivendute all’asta. Secondo alcune vittime, sarebbe operativo in zona un cartello speculativo di acquirenti senza scrupoli. A due anni dall’evento, la casa di via Brescia è stata ricomprata dalla famiglia. Grazie al contributo del Movimento Cinque Stelle, ma non solo. Antonio Guarascio, figlio di Giovanni, anch’egli impiegato nel settore dell’edilizia come il padre – emigrarono insieme a Ferrara – ripercorre il corso degli eventi in questa intervista a MeridioNews.

La vicenda ha come fulcro la casa di via Brescia, dove vivete, che è stata costruita da suo padre decenni fa. Qual era il debito da lui contratto?
Gli era stato concesso un mutuo dalla Banca agricola popolare di Ragusa di quaranta milioni di lire nel 1989. Dopo cinque o sei anni non era più stato capace di pagarlo, e depositava somme quando poteva.

Nel frattempo, il debito cresceva…
In maniera esponenziale, la banca è arrivata a chiederci anche centomila euro.

Avevate provato a concordare un rientro con la banca?
Sì, nel 2002 o 2003 abbiamo inviato una proposta alla banca: un saldo di 26mila euro per chiudere la vicenda. In 24 ore ci hanno risposto negativamente. Dopo anni, nel 2012, l’immobile è stato messo all’asta. E comprato da un privato, un uomo di Scoglitti (frazione di Vittoria, ndr) per 26mila 750 euro.

Avete provato immediatamente a ricomprarlo?
In realtà il giorno dell’asta non sembrava essersi presentato nessuno: mio padre venne allontanato amichevolmente da un funzionario, con la scusa di un caffè. Al nostro rientro a casa trovammo nella buca della posta un numero di telefono. Era l’acquirente. Lo richiamammo subito e inizialmente sembrava disponibile ad un accordo.

E invece?
Chiedemmo di rinunciare all’acquisto, da formalizzare entro sessanta giorni, pagandogli l’anticipo. Invece dopo due settimane saldò la somma. Prima ci chiese 43mila euro, per rivenderla; poi più di 60mila. Ci sentimmo presi in giro e non fummo i soli a pensarlo.

Cosa non vi convince?
Sembra possibile credere che a Vittoria ci sia un’organizzazione di avvocati, commercialisti, banche, imprenditori, che ha l’obiettivo di scippare le case alla povera gente.

Però pochi giorni dopo il tragico gesto è scattata una campagna di solidarietà.
Abbiamo aperto un conto corrente bancario per chiedere aiuto. Sandro Ruotolo e la trasmissione Servizio Pubblico si interessarono; l’Iban andò in televisione e ricevemmo tante donazioni, soprattutto dal Nord-Est; perlopiù gente comune che donava importi modici, nessun grande benefattore. Così siamo riusciti a raggiungere la cifra di 78mila euro.

Che servivano per l’acquisto della casa.
Servivano a sostenerci: mia madre è rimasta ferita il giorno in cui mio padre si diede fuoco, parte della cifra è stata impiegata per le sue cure mediche. Altri fondi sono serviti a pagare le spese legali del procedimento. Inoltre, nell’immediato, non avremmo potuto comprare la casa, che era stata sottoposta a sequestro preventivo. Poi però tutto si è bloccato. Il proprietario fece ricorso e nel giro di trenta giorni riprese possesso dell’immobile. Il nostro avvocato lavorò giorno e notte, in modo che venisse presentato un contro-ricorso dalla Procura, ma questo non è avvenuto. Il procuratore Petralia disse, anche sui giornali, che non era necessario.

Messi spalle al muro, a chi vi siete rivolti?
Abbiamo inviato una lettera al presidente della Repubblica e il prefetto di Ragusa (Annunziato Vardé, oggi trasferito, ndr) ha seguito la vicenda fino alla fine. La trattativa nel frattempo è andata avanti e ci è stata avanzata una proposta: rinunciare a costituirci parte civile nell’eventuale processo in cambio di una soluzione positiva. Io non ero d’accordo, mi sembrava ingiusto e volevo aspettare la chiusura delle indagini, ma dovevo pensare a mia madre e alle mie sorelle. Siamo stati costretti a farlo, abbiamo speso 70mila euro per tornarne in possesso. (Dopo la pubblicazione di questa intervista, Antonio Guarascio precisa a MeridioNews che l’acquisto della casa è costato 46mila euro, a cui la famiglia dovrà aggiungere diverse altre spese, quali oneri di urbanizzazione, sanatoria, tasse degli anni precedenti, per una cifra che, stimano, raggiungerà complessivamente circa 70mila euro ndr).

Con quanto hanno contribuito i deputati del Movimento cinque stelle?
Ci hanno aiutato con circa 30mila euro. Sapevano della vicenda, mi hanno contattato. Poi sono venuti dal notaio per l’atto di compravendita.

C’è chi la considera una manovra elettorale a scopo pubblicitario.
Capisco la critica, ma la realtà è che ci avrebbero buttati fuori da casa in questi giorni, indipendentemente dalle elezioni. All’inizio il Movimento cinque stelle ha detto “L’abbiamo comprata noi”, poi hanno corretto il tiro. Ma in fondo li capisco. Se dici “abbiamo contribuito” ha meno peso. Così invece ha più impatto politico, ma non voglio innescare polemiche. Loro, e non altri, andranno in Senato a portare il disegno di legge; di quello ne usufruiranno tutti. Sarei anche orgoglioso che possa portare il nome di mio padre, ma non è ciò che importa. Spero invece che vengano introdotti elementi importanti, come ad esempio il divieto di rivendere il bene acquistato all’asta per un periodo di almeno cinque anni. 


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