Ennesima devastazione all'immobile che porta il nome dell'avvocato catanese ucciso da Cosa Nostra nel 1995, confiscato per abusivismo in provincia di Latina e assegnato da due anni all'associazione Libera. Ignoti hanno distrutto porte, tubature e sistema di video-sorveglianza. Lo scorso gennaio l'ultimo rogo doloso. «Prefettura e Comune ci avevano garantito sicurezza, ma sono assenti», denuncia Flavia Famà, figlia del penalista. La struttura sorge in un'area a forte infiltrazione camorristica
Villaggio Serafino Famà ancora devastato «Istituzioni latitanti, 20 attentati in due anni»
A Capodanno un incendio. Oggi una nuova devastazione: hanno distrutto porte e sistema di videosorveglianza, portato via i tubi dell’acqua. E’ l’ennesimo attacco al Villaggio della legalità di Borgo Sabotino, in provincia di Latina, bene confiscato che porta il nome dell’avvocato catanese Serafino Famà, ucciso da Cosa Nostra diciotto anni fa, e assegnato da due anni all’associazione Libera. Da allora, dal giugno del 2011, episodi di questo tipo – distruzioni, roghi, vandalismo – si sono succeduti con inquietante costanza. Ma in nessun caso le forze dell’ordine sono riuscite a risalire agli autori.
Delinquenti casuali o attacco mirato? «Una ventina di attentati in due anni sono troppi per un gruppetto disorganizzato», commenta amara Flavià Famà, la figlia del penalista ucciso. Sono stati i volontari a trovare il bene ancora una volta devastato. «I carabinieri all’inizio non volevano ammettere che si trattasse di un danneggiamento, ma solo di un furto – racconta Famà – la verità è che la Prefettura e le istituzioni locali sono assenti e latitanti; in un recente incontro con don Ciotti ci avevano assicurato che avrebbero garantito la sicurezza, ma non è cambiato nulla». Quella tra Latina, Formia e Fondi è una delle aree del Lazio a più alta infiltrazione mafiosa, soprattutto camorristica. Le relazioni parlamentari antimafia ne parlano sin dagli anni ’80. «Non lontano dal Vilaggio della legalità abitava la nipote di Sandokan, uno degli storici boss della camorra», aggiunge Flavia Famà. Contesto e aneddoti che non bastano a certificare la matrice della lunga serie di attentati. Ma sufficienti a far nascere molti dubbi.
A gennaio l’immobile ha subito un rogo doloso. Il circuito di videosorveglianza ha ripreso un uomo che arrivava in bicicletta e versava del liquido infiammabile in due punti della struttura. Solo di fronte ai video, i carabinieri si sono convinti che si trattasse di un atto doloso. Né oggi, né in quel caso qualcuno dei vicini ha avvisato le forze dell’ordine. A gennaio stava per iniziare il doposcuola per i bambini rom della zona. In questi giorni sarebbero dovute partire attività di integrazione per un gruppo di ragazzi disabili. «E’ un’intimidazione costante – si sfoga Famà – per farci capire che loro sono sempre presenti». Loro chi? «Semplici vandali o qualcuno con una struttura articolata alle spalle. Saranno gli inquirenti a dirlo».
Sono ancora tanti i punti di domanda attorno al villaggio della solidarietà e alle intimidazioni subite. A cominciare dai veri proprietari della struttura. Al momento della confisca, per motivi di abusivismo e non di mafia ufficialmente, questa tensostruttura che sorge su un terreno demaniale, con sala proiezione e bar in muratura, ospitava cene elettorali di tutti i partiti. Ma nessun politico si era mai accorto che fosse abusiva. I proprietari sono risultati essere un pescatore e un nullatenente. «Ci dicono che le indagini sono ancora in corso – spiega Famà – io mi chiedo come hanno fatto a mettere su una struttura del genere».
Ancora una volta, l’obiettivo è non mollare. «Ma le istituzioni locali devono dare un messaggio forte – aggiunge – andarcene significherebbe accettare l’idea che su quel territorio comanda la criminalità. Non sarebbe una mia sconfitta personale o di Libera, ma della giustizia e della legalità».
[Foto dell’incendio doloso di gennaio]