A meno di due settimane dall'annunciata parziale riapertura, reperire il principale dispositivo di protezione resta un problema. Anche economico. E così c'è chi lancia appelli a forme di statalismo e chi confida nella mano invisibile del mercato
Verso la fase due con il nodo irrisolto delle mascherine «Chirurgica a 2,5 euro, ma prezzo non dipende da noi»
«Due, 15 euro». «Se ne prende quattro di questo tipo, vengono dieci euro». «Lavarle? Sì, non si rovinano. Certo deve fare attenzione al tipo di lavaggio». «Da dove vengono? Dall’Asia, ormai fanno tutto lì». Sul filo del telefono non corrono le offerte degli ambulanti di un mercato rionale, le cui voci da quasi due mesi sono state silenziate per paura del Covid-19. Dall’altra parte della cornetta, ci sono i farmacisti che in qualsiasi punto della Sicilia da settimane rispondono alle richieste dei cittadini. Per le medicine, magari da ricevere a casa – approfittando dall’intraprendenza di chi ha inaugurato il servizio a domicilio – ma anche e soprattutto per recuperare mascherine. Bene essenziale sin dai primi giorni dell’epidemia, da qui a breve potrebbero diventare un must. Nel vero senso della parola. Il governo Musumeci è stato chiaro: «In vista della fase 2 le mascherine diventeranno indumenti comuni nella vita di ognuno».
Come specificato ieri in Parlamento dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, la riapertura del Paese a partire dal 4 maggio sarà parziale. E se non è ancora chiaro quali saranno i limiti dell’allentamento delle misure di contenimento dell’epidemia, pochi dubbi ci sono sulla necessità che i comportamenti sociali siano contraddistinti da una cautela ancora maggiore rispetto a quella richiesta oggi negli spostamenti per fare la spesa. «Promuovere l’utilizzo diffuso dei dispositivi di protezione individuale, fino a quando non saranno disponibili una specifica terapia e un vaccino», ha ribadito Conte. Il rischio, d’altronde, è alto. Una ripartenza di focolai incontrollati porterebbe a nuove chiusure, con tutto ciò che ne conseguirebbe sul piano economico e sociale.
La strada tracciata dagli esperti che in questi mesi affiancano i presidenti – tanto Conte a Roma, quanto Musumeci a Palermo – è irta di insidie. E una potrebbe arrivare proprio dalla difficoltà di reperimento delle mascherine. Al principale dispositivo di protezione consigliato per ridurre le probabilità di contrarre l’infezione ma anche di trasmettere inavvertitamente il virus, nel caso – tutt’altro che remoto – si rientrasse tra i casi asintomatici, le pagine dei quotidiani hanno già dedicato parecchio spazio: dalle speculazioni in tema di prezzi ai tentativi di alcune aziende di riconvertire la produzione, fino agli aerei cargo arrivati dalla Cina. A meno di due settimane dal possibile inizio della fase 2, la domanda però resta la stessa: è pronta la Sicilia – ma il discorso vale anche per il resto del Paese – a soddisfare un fabbisogno di mascherine decisamente maggiore rispetto a quello di questi mesi?
«Al momento non ne abbiamo di nessun tipo – dice un farmacista palermitano -. Dovrebbe richiamare dopo il 25 aprile. Prezzi? Dovremmo aggirarci sui 7,50 euro per le Ffp2 e 1,50 per quelle chirurgiche». Sulla cifra da sborsare, il commento è unanime. «Le assicuro che ci guadagniamo pochissimo, anche a noi costano tanto. La maggior parte ci arrivano dall’estero, dalla Corea ultimamente», spiega un collega e concittadino del primo. La situazione non cambia se ci si sposta dall’altra parte dell’isola. A Messina, sono diversi i farmacisti che hanno scelto di vendere le mascherine chirurgiche in sacchetti da quattro pezzi. «Arrivano in scatoloni da cinquanta, così garantiamo che si mantengono sterili», spiega il titolare di farmacia nella periferia del capoluogo. I prezzi, però, restano da capogiro: anche dieci euro per il sacchettino da quattro mascherine. Se, invece, si ambisce a una protezione maggiore, ma con una possibilità d’uso limitata all’arco di poche ore, la cifra sale ulteriormente. «Le Ffp2 sono disponibili, le vendiamo a otto euro l’una», spiega un altro farmacista.
Per lo stesso prodotto a Catania si spendono anche nove euro. Poco se si considerano i casi registrati qualche settimane fa, quando per una Ffp2 c’è chi ha sborsato anche venti euro. «Non so se qualche mio collega ci abbia speculato, io le posso dire che abbiamo magazzini piccoli e i prezzi che si è costretti a fare derivano solo dalle cifre che ci vengono proposte al momento dell’ordine», rimarca un farmacista del capoluogo etneo.
Sull’uso delle mascherine al momento della riapertura si sono soffermati, nei giorni scorsi, anche i componenti del comitato scientifico che assiste l‘assessore alla Salute Ruggero Razza. «È bene notare – si legge in un parere degli esperti – che, per quanto ad oggi non sia stato normato l’uso di mascherine medico-chirurgiche (o di mascherine certificate con equivalente attività filtrante) per operatori non sanitari, o come protezione personale per lavoratori generici e popolazione generale, l’utilizzo di tali presidi è comunque consigliabile come misura di prevenzione». Ed è così che lo stesso comitato sottolinea come sia necessario, «in tempi brevissimi», che le università e i centri di ricerca regionali lavorino alla «certificazione dei materiali possibilmente idonei alla creazione di mascherine di tutte le imprese che ne facciano richiesta al fine di riconvertire i loro processi produttivi, nell’ottica di una distribuzione capillare sul territorio».
Nell’attesa di capire che misure saranno prese per rendere attuabile il piano immaginato dal governo per assicurare il contenimento dei contagi, sono molti i farmacisti che suggeriscono di non fare scorte. «Non possiamo venderne grosse quantità a un singolo cliente e poi conviene attendere: magari aumentando le richieste, i prezzi si abbasseranno». In questa epidemia che ha consentito di riscoprire forme di statalismo, come nel caso degli appelli alla riconversione, c’è chi continua a confidare che la mano d’aiuto, alla fine, possa essere quella invisibile del mercato.