Foto di Gerry Italia

Il venerdì nero di Gela, una città sotto assedio tra incendi e veleni

La prima sirena dei vigili del fuoco ha squarciato il silenzio alle 16.03. Un venerdì pomeriggio qualunque, trasformato in una corsa contro il fuoco. Un incendio, poi un altro, poi un altro ancora. La città ha tremato, avvolta dal fumo e dalla paura. La chiamata arriva dal cuore della zona industriale, Quarta Strada, quartiere Brucazzi. Una lingua di fuoco si è fatta largo tra le sterpaglie incolte, ed è entrata attraverso le finestre non protette di un capannone usato come deposito per materiali plastici. In pochi minuti, l’intera struttura si trasforma in un inferno di fuoco. Il vento soffia da est e alimenta le fiamme. In pochi minuti il fumo si fa denso, nero, tossico.

Alle 16.17 i primi Vigili del Fuoco sono sul posto. A sirene spiegate, altre squadre convergono da tutta la provincia. La Bioraffineria Eni manda rinforzi: mezzi schiumogeni, uomini in tute ignifughe, protocolli da incidente industriale. Intorno, le aziende osservano in silenzio. Alcune evacuano in fretta. Qualcuno, con la memoria ancora viva, rivive il trauma del rogo Pescagel, che rase al suolo un altro capannone a poche decine di metri da qui: stesso odore acre, stesso cielo scuro. Alle 17.00 il perimetro viene chiuso. Arrivano i Carabinieri. Inizia la conta delle minacce: gli alberi di pino rischiano di prendere fuoco a macchia di leopardo, il rischio che il fuoco salti da una struttura all’altra è reale.

Il sindaco Terenziano Di Stefano arriva sul posto poco dopo le 18.00. Ha il volto tirato. Cammina tra i mezzi operativi, guarda il cielo nero che sembra piombato su Brucazzi. «Le fiamme sono state contenute – dirà più tardi – ma ci sono ancora focolai attivi. E l’aria è da monitorare». I tecnici dell’ARPA Sicilia iniziano i rilevamenti. I dati sull’inquinamento arriveranno nei prossimi giorni. Il respiro è difficile, mentre per fortuna il vento trascina, verso il mare, lontano dalla città, l’enorme colonna di fumo nero. Nero come il fiume Gela che, a pochi chilometri di distanza, da giorni è colorato della stessa tinta. Acqua scura, densa, avvelenata. I pesci galleggiano a pancia in su. Moria totale. L’origine: sversamenti incontrollati. Fogne, rifiuti, scarichi. Non è la prima volta. Ma questa volta, accade tutto insieme. Ecco la fotografia di un venerdì da incubo: l’aria brucia, l’acqua marcisce. Una città soffocata da due drammi ambientali, figli dello stesso padre: l’incuria.

Alle 21.00 si combatte ancora. L’incendio rallenta, ma non si arrende. La bonifica inizia mentre le fiamme bruciano ancora. Solo all’1.15 di notte, dopo quasi dieci ore, l’ultimo focolare viene spento. Il capannone è distrutto. L’aria resta pesante. Le operazioni proseguono per tutta la notte. Ma Brucazzi è solo una parte del puzzle. Poche ore prima, la zona ovest aveva già lanciato il suo segnale. Tra la SP8 per Butera e Via Liszt, un incendio di sterpaglie si era esteso fino a un campo di grano. Il fumo, denso e irregolare, aveva sfiorato l’Istituto Alberghiero. La scuola è stata evacuata d’urgenza. Nessuno ferito, ma tanta paura.

Poi, nel pomeriggio, è toccato alle campagne intorno al lago Biviere. Le fiamme hanno minacciato la Riserva Naturale. Un Canadair solca il cielo basso e carico di cenere. I forestali, arrivati da Riesi, si trovano senza acqua. Nessun punto di rifornimento. Nessun margine d’errore. Tre incendi. Tre fronti attivi nello stesso giorno. Complici il caldo, il forte vento e una probabile mano umana. Le indagini sono aperte. I sospetti ci sono, anche se nessuno ancora parla apertamente di dolo. Ma chi conosce il territorio sa bene che certi fuochi non nascono per caso. Troppe coincidenze, troppi terreni lasciati incolti. La città si sveglia il giorno dopo con l’odore ancora addosso e i segni della notte. Il sole sorge sopra i resti anneriti di un giorno da bollino nero. L’estate è appena cominciata. Ma per molti, l’inferno è già qui.


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