Vecchi album e rose non colte Tutti i rimpianti del Catania a Vicenza

Se il rimpianto avesse una faccia, stasera non saprei dirvi qual è. Potrebbe essere quella un po’ accigliata di Pasquale Marino, oggi tecnico del Vicenza, ma per noi indimenticato allenatore della promozione in serie A, che risale ormai a nove anni fa. Oppure quella più giovane, ma neanch’essa troppo spesso sorridente, di Federico Moretti, oggi brillantissimo centrocampista del Vicenza e, per molti anni, semplice pedina di scambio di tanti mercati rossazzurri; inevitabile escluso di tutte le scelte societarie compiute quando c’era da sforbiciare la rosa.

Il rimpianto incarnato da Marino, per esser precisi, ha oggi il sapore della nostalgia. Del ricordo di qualcosa che è stato e non è più. Il tecnico di Marsala, nel primo anno in cui sedette sulla panchina rossazzurra, ebbe l’abilità di sottrarsi a quello che oggi sembra quasi un determinismo biologico, una tara genetica che chissà come s’attacca a chiunque vesta la maglia del Catania. E cioè la legge che da anni condanna i rossazzurri a valere poco o nulla lontano dal Massimino, che ci induce ad accogliere con un sorriso di stupore ogni stentato zero a zero conquistato fuori casa, che inchioda la casella delle vittorie esterne della nostra classifica a un desolante rosso fisso. Con Marino in panchina, il Catania era un’eccezione alla propria storia: una squadra che andava a fare il suo gioco su qualsiasi campo; che in trasferta polverizzava i propri record di vittorie; che univa la fantasia di un Mascara, capace di aprire la strada nelle partite più difficili, alla cattiveria di uno Spinesi, che le partite riusciva sempre a chiuderle; che sapeva mirare all’utile senza per questo rinunciare al bello. Fu il Catania dell’ultima promozione in serie A e quello della prima salvezza, ottenuta in una stagione terribile, segnata a sangue dalla tragedia del due febbraio. Ma che, forse non a caso, cominciò anche quella da una vittoria in trasferta: il successo ottenuto sul campo del Cagliari alla prima in serie A, frutto di un gran gol di Corona e di molte parate del portiere Pantanelli.

Finì poi, con Marino, con un divorzio consensuale. Il tecnico inseguiva, probabilmente, la speranza di recitare su palcoscenici più prestigiosi. Il Catania cominciò una serie di stagioni una più bella dell’altra, benché spesso segnate, all’inizio, dalla scelta di allenatori sbagliati (Baldini, Aztori, Giampaolo). Scelta poi riscattata dalla tempestiva – e definitiva – sostituzione di questi ultimi con tecnici giovani e vincenti. Che si chiamavano Zenga, o Mihajlovic, o Simeone. Per anni, quindi, abbiamo pensato di non dover più rimpiangere Marino. E in effetti non l’abbiamo rimpianto, consegnandone il grato ricordo a un album di famiglia da sfogliare ogni tanto. A un bel passato da riguardare compiaciuti, dall’alto d’un lieto presente che ci appariva anzi gravido di un futuro ancor migliore. Poi è venuta le retrocessione, e quest’anno amaro di serie B. In cui a Marino invidiamo la svolta che ha saputo dare al campionato del Vicenza: che ha preso dai bassifondi della classifica, gli stessi in cui noi ci agitiamo dall’inizio della stagione; e ha portato – a differenza di quanto accaduto a noi – a correre veloce verso i play-off.

Il rimpianto incarnato da Moretti ha un altro volto. E ha il profumo delle rose non colte, quello delle cose che potevano essere e non sono state. L’odore di una promessa alla quale non abbiamo saputo credere, e che invece è stata mantenuta, ed è oggi la realtà di uno dei miglior centrocampisti della serie B. Una realtà che abbiamo preferito barattare con tante scommesse mancate, con tante speranze menzognere. Per questo, il rimpianto di Moretti è forse più aspro: perché ci parla dell’oggi, delle nostre sconfitte, dei nostri errori. Perché non chiama in causa un album del passato, ma la realtà di adesso, con i suoi dirigenti inadeguati, con le sue scelte ostinate, con la sua difesa a oltranza dell’indifendibile. È più aspro, il rimpianto di Moretti, perché dietro il suo declassamento a merce di scambio ci sono i soliti volti a tutti noti. Perché, per dirne una, la scelta di privarsi di lui, sostenendo che era meglio puntare su Almirón, è una scelta che porta la firma di Pablo Cosentino. Scelta attuata, peraltro, cedendo Moretti con la formula del prestito: cosa che in futuro potrebbe ancora tornarci utile; ma che d’altra parte ha di molto indebolito la nostra squadra di quest’anno, senza l’alibi di un’offerta economica cui non si potesse rinunciare.

Nel ballo che stiamo ballando, cosa significa la partita di stasera, pareggiata per zero a zero sul campo del Vicenza? Cosa significa questa che è pur sempre la terza gara consecutiva pareggiata in trasferta, ma che d’altra parte è anche la settima di fila che concludiamo senza vincere? Niente più che un passo, non possiamo ancora dire se verso il baratro o verso un finale più dignitoso. Ma comunque ci ricorda, la partita di stasera, che non era questo il ballo cui ci avevano invitati. Che a quell’altro ballo si poteva forse arrivare, sia pure in ritardo, se ha saputo arrivarci una squadra come il Vicenza. E che, comunque vada a finire, chi ha rovinato questa stagione dovrà prima o poi assumersene le responsabilità. 


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