La decisione dopo aver accolto l’esposto depositato a dicembre dai familiari della vittima e dall’associazione antimafie Rita Atria, secondo cui si trattò di omicidio. Il maresciallo, in servizio la sera del disastro aereo, vide dagli schermi cosa accadde, divenendo suo malgrado un testimone chiave della vicenda
Ustica, esumata salma maresciallo Dettòri Ripartono le indagini: «Non fu un suicidio»
«Siamo stati noi capitano, siamo stati noi a tirarlo giù». Lui ancora non lo sa, ma forse è pronunciando queste parole che il maresciallo Mario Alberto Dettòri, radarista in servizio a Poggio Ballone la sera della strage di Ustica il 27 giugno 1980, firma la sua condanna a morte. È il 31 marzo di sette anni dopo quando alcuni amici lo trovano impiccato in una piazzola che costeggia l’Ombrone grossetano. Dopo trent’anni e l’esposto per riaprire le indagini sulla sua morte presentato alla Procura di Grosseto dalla figlia Barbara e dall’associazione antimafie Rita Atria, ecco che qualcosa si muove. Esumata la salma dal cimitero di Sterpeto, in presenza dei familiari e del medico legale Mario Gabbrielli. Si riaprono ufficialmente le indagini, coordinate dalla procuratrice capo Raffaella Capasse e dalla sostituta Maria Navarro, con un fascicolo contro ignoti. L’obiettivo è quello di provare a far luce su una morte che all’epoca fu archiviata come suicidio. Ipotesi alla quale la famiglia del maresciallo si è sempre rifiutata di credere. Più volte, infatti, la vedova e la figlia hanno dichiarato che quella notte Dettòri tornò a casa sconvolto, dicendo che eravamo stati «a un passo dalla terza guerra mondiale».
«Con l’esposto presentato a dicembre chiedevamo, nero su bianco, la riapertura delle indagini, ovviamente motivando la nostra richiesta con una serie di elementi che ci fanno propendere per una tesi diversa da quella del suicidio», spiega l’avvocato Goffredo D’Antona dell’associazione Rita Atria. «Solo alcuni giorni fa abbiamo avuto cognizione effettivamente che il caso era stato riaperto, con l’esumazione della salma – continua – Adesso gli esperti faranno tutte le analisi necessarie sui resti. Si riparte da qua. A livello personale, quasi egoisticamente, dico che sono soddisfatto». L’associazione antimafie, invece, preferisce non rilasciare alcun commento: «Come si può immaginare eravamo già a conoscenza della riapertura ma riteniamo, in linea con quello che è lo stile dell’Associazione, come nel caso della riapertura delle indagini per la morte di Marcucci e Lorenzini (anche questo caso legato ad Ustica), di non compiere alcuna ulteriore dichiarazione – si legge sul loro sito – Possiamo dire però che esprimiamo viva soddisfazione per il riscontro della Procura sul nostro esposto».
L’associazione, infatti, da molto tempo segue le vicende legate ai fatti di Ustica. Fatti che hanno segnato la vita non solo delle 81 vittime, quelle ufficiali a bordo dell’aereo, ma anche di marescialli, capitani, radaristi ed esperti che, come Dettòri, quella notte videro cosa accadde in cielo. Qualcuno è rimasto vittima di morti sospette, come il tenente colonnello Sandro Marcucci, deceduto in un incidente aereo nel 1992 insieme al pilota Silvio Lorenzini. Caso per il quale è stato presentato nel 2012 un esposto alla Procura di Massa, che ha aperto un’indagine contro ignoti per il reato di omicidio. A qualcun altro, invece, è toccata una sorte diversa. È il caso del capitano Mario Ciancarella, ex pilota dell’aeronautica militare radiato con infamia nel 1983, attraverso un documento a firma dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Firma che 33 anni dopo una sentenza recentemente emessa dal tribunale di Firenze ha dichiarato ufficialmente falsa, riabilitando di fatto la figura del capitano Ciancarella, tra i primi nel 1980 a mettersi a indagare sulla vicenda di Ustica. È proprio lui, infatti, l’uomo a cui Dettòri telefona a pochi giorni dalla strage, pronunciando la frase con cui accusava il nostro paese di esserne il principale responsabile.