In una tavola rotonda svoltasi sabato scorso a Catania, i professori Lagalla (Palermo), Tomasello (Messina) e Recca (Catania) analizzano il presente e il futuro degli atenei del sud. Tra i partecipanti anche il sottosegretario alla Pubblica istruzione Giuseppe Pizza
Università in Sicilia, tre rettori a confronto
“Il sistema universitario italiano è oggi l’espressione di una tradizione quasi millenaria, in linea con gli standard internazionali ma allo stesso tempo caratterizzato da ampie contraddizioni”. E’ quanto ha dichiarato sabato scorso Giuseppe Pizza, sottosegretario alla Pubblica Istruzione, nel corso della tavola rotonda dal titolo “Quale futuro per le università pubbliche della Sicilia” svoltasi presso l’Hotel Excelsior. Alla tavola rotonda, organizzata dai Rotary Club della provincia catanese, hanno preso parte i rettori delle università di Catania, Messina e Palermo ed il presidente del Rotary Club Catania Ovest Francesco Rapisarda nel ruolo di coordinatore.
Il sottosegretario ha delineato, cifre alla mano, un ritratto a luci ed ombre della situazione degli atenei siciliani. Da un lato ha parlato della Sicilia come di una “realtà vivace”, ricordando come gli atenei di Catania e Palermo siano tra i primi dieci d’Italia per capacità di attirare finanziamenti; ma non ha dimenticato al contempo di citare le anomalie, come il fatto che in tutti gli atenei siciliani il personale tecnico amministrativo supera in numero quello dei docenti.
Alle varie anomalie del sistema universitario siciliano e nazionale starebbe tentando di porre fine il governo, secondo il sottosegretario, con la conversione in legge del decreto 180. A proposito della ricerca, il sottosegretario ha inoltre ricordato come i giovani siano oggi penalizzati in Italia: soltanto il 15% dei dirigenti, l’8% dei professori associati, e l’1% dei professori ordinari ha infatti meno di quarant’anni.
Come soluzione, il sottosegretario ha auspicato un maggior investimento nella ricerca da parte del nostro paese, con l’obbiettivo di provare a raggiungere il 3% del prodotto interno lordo, come previsto dal trattato di Lisbona. Oggi si è purtroppo soltanto all’1.2%, con una media europea del 2,8%. A fare la differenza, sarebbe più che la ricerca pubblica, quella privata, molto meno sviluppata nel nostro paese.
A seguire l’intervento del professor Roberto Lagalla, rettore di Palermo, che ha evidenziato come l’università si sia trovata ad affrontare vari cambiamenti, ad esempio il passaggio da un’università d’élite ad un’università di massa e il raggiungimento all’autonomia, che hanno determinato un sistema d’offerta completamente diverso rispetto a quello precedente.
Le università del sud, ha inoltre precisato il rettore, hanno delle specificità precise per via del contesto, che implica l’impossibilità ad imporre sistemi di tassazione confrontabili con quelli delle università del nord. Il rettore considera allo stesso tempo utili, gli strumenti di valutazione introdotti dal governo per aiutare le università nella gestione delle risorse, spesso erogate con meccanismi confusionari, così come gli ultimi provvedimenti volti ad alleggerire la spesa. Ad ogni modo sul sistema universitario, da sempre sottofinanziato a causa dell’endemica debolezza finanziaria dello Stato, la distrazione dei precedenti governi è stata “trasversale”.
Per il rettore di Messina, Francesco Tomasello, sul tema delle università, ferma restando la necessità di combattere alcune negative consuetudini, in primis quella dell’autorefenzialità, si è assistito nei mesi scorsi un deplorevole “teatrino mediatico”, in cui si è proceduto alla demolizione del sistema università, soltanto al fine di giustificare i tagli necessari al Governo per fare cassa.
Tagli, che come ha precisato il rettore Tomasello, ammonterebbero paradossalmente alla stessa cifra che era stata invece chiesta in aumento dal sistema università. Le vittime privilegiate di questa caccia alle streghe sarebbero state così proprio le università meridionali, facilmente bollate come prodotto di una politica assistenziale.
Il pericolo sarebbe quello del riproporsi del divario Nord-Sud, e proprio per questo le università siciliane non devono dividersi in questo pericoloso frangente. La proposta, è quella di un tavolo con Confindustria e la Regione siciliana al fine di creare una progettualità per i centri di eccellenza e della ricerca sfruttando al meglio la carta che la Sicilia non ha ancora giocato, cioè quella del suo enorme patrimonio culturale.
La tavola rotonda si è conclusa con l’intervento del prof. Recca, rettore dell’Ateneo catanese, che ha ribadito come, pur non volendo essere oggetto di politiche assistenzialiste, bisogna far presente al ministero, l’impossibilità per le università siciliane ad aumentare le tasse.
Al contempo, pur ribadendo l’inaccettabilità di “tagli lineari”, il rettore ha dichiarato la necessità di accettare le regole indicate dal governo. Secondo il rettore di Catania, è tempo di accettare che le risorse vengano assegnate in base alla valutazione, criterio che va introdotto anche a livello interno. Il rettore ha inoltre ammonito a non giudicare le università in base al numero degli studenti, badando piuttosto alla percentuale di essi che raggiungono il conseguimento finale del titolo di laurea. Un ulteriore monito del rettore, ha riguardato anche la questione dell’indebitamento, che in questo periodo di maggiore incertezza finanziaria dello Stato potrebbe rivelarsi molto pericoloso.
Il rettore ha infine invitato a puntare sulle scuole di eccellenza, e a creare un meccanismo virtuoso di collaborazione tra governo, regione, università siciliane, per una scuola che sia di appartenenza di tutti e tre gli atenei siciliani, e pienamente riconosciuta dallo Stato come avviene per altre scuole del paese.