Unict, insegnanti e studenti in assemblea «Vittime di meccanismi da supermercato»

«Il sistema universitario italiano sta diventando vittima di meccanismi da supermercato perché le manovre che la classe politica presenta come aggiustamenti amministrativi nel settore dell’istruzione, in realtà sono tagli profondi che mirano all’uccisione dell’università pubblica e al protrarsi del feudalesimo che regna nel corpo docenti, dove ci sono insegnanti di serie A e insegnanti di serie B, divisi tra ordinari, strutturati, associati, ricercatori e precari, e questo non giova a nessuno». Con queste parole Attilio Scuderi, ricercatore classe 1970 di Letteratura italiana del dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania e membro del Coordinamento Unico d’Ateneo, ha accolto ieri i partecipanti all’assemblea intitolata Stato dell’Unict all’interno del seminario Per quale università. Un evento inserito nell’ambito della settimana nazionale di mobilitazione e discussione sulla formazione universitaria indetta dal 18 al 23 novembre in tutti gli atenei italiani da numerose associazioni sindacali, dal Consiglio universitario nazionale e da organizzazioni studentesche. Poche persone – circa cinquanta tra studenti, docenti e personale tecnico-amministrativo – hanno preso parte all’incontro in cui si è parlato di diritto allo studio, precariato, licenziamenti del personale, assenza di fondi statali per finanziare la ricerca, blocco delle carriere e degli stipendi.

Sara, studentessa al secondo anno del corso di laurea in Lettere moderne, commenta arrabbiata la mancata partecipazione dei suoi coetanei: «Ci lamentiamo spesso per l’aumento delle tasse, per la disorganizzazione delle lezioni, per l’assenza dei docenti durante gli orari di ricevimento, per il caro-libri e per molte altre cose – afferma – ma la verità è gli studenti in generale sono troppo pigri per farsi ascoltare e il fatto che a seguire la riunione di oggi siano solo una ventina di noi è indicativo». E continua: «Per di più, sempre per essere pigri, compiliamo questionari di valutazione sullo stato dell’università con i piedi, facendo sembrare che tutto vada bene mentre in realtà tutto va male». Un tema, quello sollevato dalla giovane, che si inserisce nel recente dibattito sul peso che bisogna dare alle classifiche e alle scale di valutazione riguardanti gli atenei.

Sul fronte dei problemi riguardanti gli studenti si è parlato a lungo di abbassamento delle immatricolazioni negli atenei italiani – risulti della commissione Ocse alla mano – di troppi corsi di laurea a numero chiuso, aumento delle tasse eccessivamente oneroso, drastica diminuzione di borse di agevolazione allo studio, abolizione del valore del voto di laurea e di introduzione della prova Invalsi. Ma non è tutto, sono molteplici i drammi vissuti dal mondo accademico italiano. Si sono affrontate anche le tematiche della precarietà e della subalternità, del blocco delle retribuzioni e delle promozioni all’anno 2007 degli insegnanti precari e si è esaminata la questione della scarsa internazionalizzazione – rispetto agli atenei europei – dell’università italiana e in particolare dell’Università di Catania.

Ernesto De Cristofaro, ricercatore del dipartimento di Scienze giuridiche, interroga la platea: «Come si può ovviare al fatto che noi ricercatori abbiamo gli stessi oneri dei docenti ordinari ma non gli stessi onori?». Per poi concludere con la soluzione appoggiata dal resto dei professori presenti in sala: «Bisogna immettere nel sistema universitario la docenza unica e aggirare il meccanismo del tutti contro tutti». Gli fa eco Giuseppe Forte, ricercatore di Chimica: «Come è possibile che in Italia vada ancora di moda l’affermare che di ricerca non si mangia? È possibile perché ormai le parole chiave dell’istruzione sono: aziendalismo, fare cassa a discapito dei servizi, monetizzare – spiega – Continuando così non si andrà da nessuna parte senza contare che l’Università catanese è già l’ultima in Italia per investimenti nel settore di ricerca», conclude amareggiato.

Di defeudalizzazione, di uguaglianza nella docenza e di formalizzazione delle funzioni di insegnamento già espletate dai precari e anche di atto di responsabilità da parte del corpo studentesco parla Felice Rappazzo, associato del Disum. Sull’ultimo punto toccato dal docente interviene uno studente di Scienze della comunicazione, colpito probabilmente nell’orgoglio: «Il problema non è quello di sensibilizzare noi, ma di scendere dalla cattedra e di far conoscere queste problematiche alle masse, alla gente comune e ai non laureati».

L’assemblea di ieri ha prodotto, dopo la chiusura del dibattito, un documento che sarà posto all’attenzione del rettore dell’Università di Catania, Giacomo Pignataro, e del ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Maria Chiara Carrozza. Nella delibera si chiede di porre le tematiche trattate al centro della discussione politica, ritirando il decreto del 17 ottobre (che stabilisce nuove e criticate modalità di ricambio del personale) e aprendo un tavolo di consultazioni sullo stato della formazione italiana. Inoltre, l’assemblea ha indetto una open week fuori dai locali universitari, a partire dal 28 novembre, per diffondere l’importanza dell’istituzione universitaria al resto della società.


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Si sono riuniti ieri mattina docenti precari e ordinari, tecnici, allievi e rappresentanti del Cuda per discutere delle condizioni in cui versa il mondo accademico italiano e in particolare quello etneo. Pochi giovani e altrettanto pochi insegnanti, arrabbiati ma fiduciosi in un cambiamento, hanno stilato un documento inviato al rettore Giacomo Pignataro e al ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza. «Fine del sistema feudale, reale diritto allo studio e ricambio generazionale», sono solo alcune delle loro richieste

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