Lo storico Rutger Bregman prova a sfatare le teorie che vedono gli umani come un gruppo di sciacalli. L'ultimo saggio dello storico olandese, avvezzo alle classifiche del New York Times, ci restituisce un po' di fiducia. In un momento in cui se ne ha grande bisogno
Un’attenta analisi sulla cattiveria dell’umanità
In Italia le mode passano in fretta e ci si annoia con facilità, ma abbiamo delle tradizioni: le crisi di governo si somigliano tutte, a Sanremo le stesse esibizioni da almeno tre decadi e qualcuno che prova a scavalcare la fila c’è sempre. Ci piace essere coerenti con noi stessi. Solo che adesso si parla di un vaccino, mica del bollettino alle Poste.
Quindi, mentre a inizio marzo abbiamo assistito alla diatriba tra chi voleva fare il vaccino e chi non voleva farlo, arrivata la primavera abbiamo potuto osservare la più grande raccolta di scuse accampate pur di avere una fiala prima degli altri: «Io ho la zia che sta a Forlì!», «Io ho trent’anni ma me ne sento ottanta!», «Ma la cassiera mi ha detto che con settanta euro di spesa avrei potuto farlo!», oltre al sempreverde «Lei non sa chi sono io!».
Insomma, tutti immuni col vaccino degli altri. Anche durante una pandemia, alcuni riescono a farci vergognare di essere persone e la domanda sorge spontanea: ma siamo davvero degli esseri così brutti? La risposta la troviamo nell’ultimo saggio di Rutger Bregman, Una nuova storia (non cinica) dell’umanità. Se esiste un assunto che riguarda tutti, infatti, è quello secondo cui gli esseri umani siano fondamentalmente cattivi: da Machiavelli a Hobbes, da Freud ai giorni nostri, sembrano tutti concordi nell’affermare quanto turpe sia stato (e sia) l’Homo Sapiens.
L’uomo è una bestia, dicevano i re. L’uomo è un peccatore, dicevano i sacerdoti. Un egoista, chiosavano i contabili. Ed ancora oggi i migranti sono parassiti, chi riceve aiuti dallo Stato se ne approfitterà e così via. Rutger Bregman, storico tra i più attenti del nostro secolo, olandese e habitué delle classifiche del New York Times, non ci sta e tira fuori dal cilindro un’analisi di oltre 200.000 anni di storia sfatando tutte (o quasi) le teorie che vedono l’umanità come una irredimibile gruppo di sciacalli. Partendo dagli albori, dai primi passi mossi dall’uomo sulla Terra, la domanda che guida questo saggio è una: come mai noi abbiamo costruito i musei e i Neanderthal ci sono finiti dentro? È plausibile che l’evoluzione umana sia, in realtà, collegata ai valori e non alla crudeltà?
Spoiler: la risposta è sì. Ma è il come raccontato da Bregman a lasciare stupefatti e a restituirci (almeno un po’) la fiducia nell’umanità. Cosa che, di questi tempi, serve in abbondanza.