Un’app antiviolenza che si attiva con il comando vocale  «Così le vittime di abusi possono avere aiuto immediato»

«Perché un fenomeno esca fuori dall’astrazione e ci riporti alla realtà c’è bisogno di dati. Solo attraverso i numeri e le casistiche possiamo capire quanti abusi rimangono soffocati nel silenzio perché chi li subisce non ha nemmeno il tempo di chiedere aiuto». Natasha Puglisi ne è convinta: la violenza sulle donne non deve essere qualcosa a cui assistere passivamente, ma un fenomeno davanti a cui bisogna reagire. Ed è per questo che, insieme ad altri tre ragazzi della provincia di Catania, ha dato vita a Diana, un’applicazione per smartphone che, attraverso un comando vocale, avvisa i contatti della rubrica scelti dalla vittima senza bisogno che prenda il telefono. «Abbiamo letto di donne stuprate in un parco, mentre portano i cani a spasso – dice Puglisi – Magari in quel momento si trovano in un luogo isolato, l’aggressore gli ha bloccato le mani e non possono chiamare i soccorsi, leggiamo di donne a cui viene strappato il telefono dalle mani e di violenze che durano ore. Così abbiamo pensato a un sistema che con la richiesta vocale permette di inviare un sms con la richiesta di aiuto, la posizione e l’orario». 

 

Tutto ha inizio a marzo 2020, poco prima che scoppiasse la pandemia. L’ideatore, Alex Marino, comincia a maturare l’idea. «Era la vigilia della festa della donna, in quel periodo si sente parlare di dati e statistiche – va avanti Puglisi – Così ha pensato come fosse possibile che nel 2020 non si avesse uno strumento in grado di fornire un supporto immediato». Stimolato dall’idea, Marino si confronta con Alessandro Messina, ingegnere informatico, e insieme danno corpo a Diana. Per un’ottima riuscita dell’intento decidono di coinvolgere Gaia Carotenuto e la stessa Natasha Puglisi. «Siamo un gruppo affiatato – prosegue Puglisi – Ci conosciamo da tanti anni. Messina ha curato la parte ingegneristica e di sviluppo dell’applicazione, mentre Marino, dopo averla ideata, si è unito a me e Carotenuto per sviluppare la grafica, curare l’interfaccia, creare il logo e la parte testuale, compresa la comunicazione. Al momento c’è soltanto il prototipo di Diana, ma non è ancora presente su App store: il prototipo sarà rilasciato gratuitamente una volta che l’applicazione sarà ottimizzata. L’utente può decidere se inserire un pin o mascherare l’icona per non renderla immediatamente visibile. Installarla è semplicissimo: ci sono quattro schermate introduttive e bisogna dare pochi consensi prima dell’avvio».

Una volta effettuato l’accesso all’app basta avere la rete internet e accedere alla propria posizione dal cellulare. Dopodiché si avrà a disposizione una mini-rubrica dove poter inserire i contatti telefonici di fiducia che l’utente sceglie dalla rubrica del telefono. È a loro che, al momento della richiesta di soccorso, verrà inviato il messaggio. «In caso di abusi e impossibilità di prendere il telefono, può essere attivata con il comando “vai Diana, lancia segnale” che deve essere pronunciato a stretto giro – spiega – L’app manderà un feedback sonoro che farà capire che l’allarme è stato lanciato correttamente. Il segnale d’emergenza sarà inviato tramite sms: questo non vincola i contatti scelti dall’utente ad avere necessariamente l’applicazione installata. Il semplice messaggio, infatti, può essere ricevuto da qualsiasi tipologia di cellulare». Una volta partito il segnale, l’applicazione avvierà una registrazione sonora di 5 minuti di tutto ciò che avviene attorno alla vittima. «Questa registrazione potrà essere utilizzata come possibile prova in caso di processo – sottolinea Puglisi – Non ci sono problemi legati alla privacy, tutto viene fatto nell’anonimato. Il dispositivo funziona. Una volta che riusciremo ad avere i fondi necessari, i prossimi passaggi saranno quelli di renderlo disponibile per altri sistemi operativi e su altri dispositivi tipo gli smartwatch. Tra le ipotesi c’era anche quella di collegare l’app ai numeri di emergenza: per questa possibilità avevamo chiesto aiuto alla politica».

Per questo e altri miglioramenti, o su come reperire dei fondi per implementare il dispositivo, il gruppo ha chiesto ai senatori catanesi di portare il progetto in parlamento: «Abbiamo pensato che sarebbe stata una buona idea proporlo alla politica per contrastare il fenomeno. Così ci siamo messi a lavoro e abbiamo creato il prototipo entro l’inizio del 2021». Ma la celerità si è scontrata con i tempi della burocrazia. «Lo scorso marzo siamo andati a Roma per incontrare i senatori Cinzia Leone, che è anche vicepresidente della commissione Femminicidi, e Cristiano Anastasi. Ma a luglio – rivela Puglisi – ci informano che il progetto si è arenato». La versione è confermata anche dal senatore Anastasi il quale, contattato da questo giornale, fa sapere che l’iniziativa è stata sottoposta al governo «ma al momento pare non si voglia prendere in considerazione; l’ideale sarebbe che la presidenza del Consiglio e il ministro degli Interni la facessero propria. Noi continueremo a sostenerla». 

Tuttavia, di fronte al silenzio delle istituzioni, il gruppo non si è fermato. Giorno 7 febbraio partirà una raccolta fondi sulla piattaforma online Produzioni dal basso. «Dei piccoli contributi ci darebbero la possibilità di migliorare Diana. Nel frattempo cercheremo anche di partecipare ad alcuni bandi – conclude Puglisi – Inoltre ci piacerebbe coinvolgere sempre più persone nell’iniziativa, si ha sempre bisogno di nuove competenze. L’obiettivo finale è quello che l’applicazione possa essere un deterrente verso qualsiasi autore di violenza». Tutto questo senza mai perdere la speranza di ricevere un supporto dalle istituzioni e, perché no, di poter dar vita a un possibile progetto imprenditoriale.


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