Una lunga domenica di passione

Titolo: Una lunga domenica di passione

Titolo originale: Un long dimanche de fiançalles

Regia: Jean-Pierre Jeunet

Cast: Audrey Tautou, Gaspard Ulliel, Jean-Pierre Becker, Dominique Bettenfeld, Julie Depardieu

Genere: drammatico

Nazione: Usa – Francia

Anno: 2004

Durata: 135’

Sito ufficiale: www.unlongdimanche-lefilm.com

 

Tra i registi europei, Jean-Pierre Jeunet è quello da cui non si sa mai cosa aspettare: ogni 3-4 anni in media è in grado di venirsene fuori con un film completamente nuovo, ma sempre legato a quello immediatamente precedente da un’atmosfera, un tema, un’intuizione visiva. Dalle inquadrature di Jeunet, dai suoi primi piani, spesso leggermente inclinati, sembra poter esondare in qualunque momento il fantastico, il meraviglioso, l’inedito, anche se il punto di partenza è spesso proprio la realtà sotto gli occhi di tutti.

Dopo il trionfo mondiale di Il favoloso mondo di Amélie critica e pubblico lo attendevano al varco. Ma, nonostante la bella fotografia dai colori pastello, la stessa squadra di base (a parte Jeunet, Guillaume Laurant alla sceneggiatura e Audey Tautou come protagonista), e lo stesso tono, Una lunga domenica di passioni è un film che sorprende. Ambientato a cavallo tra il momento più aspro della Prima Guerra Mondiale, il 1917, sul fronte della Somme, dove la Francia subì perdite per centinaia di migliaia di morti, e il 1920, racconta di una ragazza, Mathilde, in attesa da anni del proprio fidanzato Manech, spedito al fronte e da lì in corte marziale per mutilazione volontaria (un reato che prevedeva la pena di morte) assieme ad altri 4 uomini. Mathilde non ha mai perso la speranza, nonostante tutte le testimonianze le abbiano confermato che Manech è stato ucciso, tanto che un giorno, stufa di aspettare notizie, si mette a indagare per conto suo.

Da questo punto di partenza, Jeunet frammenta il racconto in una serie di micro-racconti che si collegano a personaggi secondari, costruendo di sequenza in sequenza un mondo coerente che si nutre di se stesso, a partire da un collasso. Perché, oltre che la storia di un amore che non si spegne, Una lunga domenica di passioni è anche la storia di una ricostruzione di un immaginario nuovo sulle ceneri di uno vecchio. Quest’ultimo è efficacemente rappresentato dalla forte cesura della Grande Guerra, il momento in cui il positivismo ottocentesco e le conseguenze della Rivoluzione Industriale andarono a naufragare contro il crollo di alcune certezze. Il risultato di tutto questo fu la morte di massa, quella che vedeva milioni di individui perdere la vita per pochi metri di terra di nessuno, nell’illusione di una guerra lampo, la quale invece sfociò in un massacro di anni svoltasi in ben altro modo rispetto ai conflitti del secolo precedente.

L’infrangersi di queste certezze, che dettero inizio a quello che Hobsbawm chiamava “il secolo breve”, quello più violento nella storia dell’umanità (iniziato secondo lo storico nel ’14 e finito nel 1991), per la Francia, che riportò il numero di morti più alto tra i tutti i paesi coinvolti nel conflitto, è ancora un momento oscuro. Jeunet, appassionato per sua stessa ammissione alla storia del periodo, ha trovato una chiave visiva adeguatamente grottesca, ma non per questo meno cupa: violenza delle esplosioni, schegge che si conficcano impazzite, soldati che si mutilano da soli, uomini che esplodono, le fosse scavate prima della battaglia per avvantaggiarsi, e la volgare follia della guerra riassunta in due geniali invenzioni, un alto ufficiale pingue e volgare e un ospedale allestito dentro a un hangar per dirigibili pieno di idrogeno.

Una lunga domenica di passioni si muove tra una rappresentazione della guerra dura e originale (non viene mai mostrato alcun combattimento fra francesi e tedeschi) e la solare passione di Mathilde, che ricostruisce la storia dei cinque soldati condannati a morte pezzo per pezzo, arrivando sempre più in profondità, “intervistando” testimoni diretti sempre in viaggio per la Francia. Impossibile non percepire l’adesione del regista alla sua protagonista, con tutto quello che ne consegue: perché alla fine Mathilde si appassiona alle vicende di tutti, crea una propria storia (che non necessariamente è il modo in cui le cose sono andate realmente) a partire dalla Storia, e si fa demiurgo di un mondo.

E Una lunga domenica di passioni è grande cinema che si nutre di cinema, utilizzandone al massimo tutti i mezzi e le potenzialità espressive: ovali che si aprono, viraggi, sequenze in bianco e nero senza sonoro, e per questo ancor più drammatiche, citazioni lievi, spezzoni di altri film tagliuzzati, riadattati, manipolati per diventare qualcosa di nuovo (vedi l’albatross: proviene addirittura da Il popolo migratore). E un uso del digitale talmente discreto e asservito alla trama da poter essere additato come exemplum per i sontuosi colossi di Hollywood (anche perché il film è mezzo americano, di produzione: gran parte dei soldi spesi sono della Warner).

Raffinatissimo, costruito con sommo talento per immagine, narrazione e ritmo, il risultato, affascinante senza mezzi termini, è un film speculare a Big Fish, il capolavoro di Tim Burton: un viaggio straordinario grazie alla fede nel potere del racconto, intinto in un contagioso realismo fantastico, che ha il sapore di una favola fondata sul sangue e sulla sofferenza. E Mathilde, come Jeunet stesso, alla fine si gusta il dolce frutto della sua fatica, seduta comodamente con la schiena che aderisce alla sedia, guardando, guardando, guardando.
Come si fa al cinema.

Pietro Liberati

Fonte: www.cinemavvenire.it

 

Versione francese
En 1919, Mathilde a 19 ans. Deux ans plus tôt, son fiancé Manech est parti sur le front de la Somme. Comme des millions d’autres, il est mort au champ d’honneur. C’est écrit noir sur blanc sur l’avis officiel. Pourtant, Mathilde refuse d’admettre cette évidence. Si Manech est mort, elle le saurait !
Elle se raccroche à son intuition comme au dernier fil ténu qui la relierait encore à son amant. Un ancien sergent a beau lui raconter que Manech est mort dans le no man’s land d’une tranchée nommée Bingo Crépuscule, en compagnie de quatre autres condamnés à mort pour mutilation volontaire, rien n’y fait. Mathilde se cramponne à sa foi du charbonnier et se lance dans une véritable contre-enquête.


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